Negli ultimi giorni, due eventi tragici hanno dominato le cronache internazionali: l’attacco russo nel centro di Sumy, in Ucraina, e il bombardamento israeliano sull’ultimo ospedale operativo a Gaza. La reazione dei media e della classe politica occidentale, però, è stata diametralmente opposta, rivelando un inquietante doppio standard che solleva domande fondamentali sull’etica dell’informazione e sulla coerenza delle condanne umanitarie.

Se un bambino ucciso a Sumy merita indignazione, allora lo stesso dolore deve valere per un bambino sepolto sotto le macerie di Gaza. Se un attacco russo è un “crimine di guerra”, allora lo è anche un bombardamento israeliano su un ospedale. Altrimenti, non stiamo difendendo principi, ma facendo il gioco sporco del potere.

L’Occidente si riempie la bocca di diritti umani, ma quando serve, volta la faccia. I media urlano contro la Russia, ma balbettano davanti a Israele. I politici si stracciano le vesti per l’Ucraina, ma tacciono sulla Palestina. Questa non è diplomazia, è vigliaccheria. Non è giornalismo, è propaganda.

La verità è scomoda, ma non si può seppellire sotto due pesi e due misure. Chi tace di fronte a un massacro perché ritenuto “giusto”dalla parte sbagliata non è un paladino della giustizia: è un ipocrita. E l’ipocrisia, alla fine, puzza più della polvere da sparo.

Mentre l’attacco a Sumy ha scatenato immediatamente dichiarazioni infuocate, condanne unanimi e persino la proposta della presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen di inviare truppe in Ucraina, il bombardamento israeliano a Gaza ,avvenuto nello stesso momento,è stato accolto da un silenzio imbarazzante. Nessuna mobilitazione istituzionale, nessuna retorica martellante sui “crimini di guerra”.

Questa disparità di trattamento non è un caso isolato, ma un pattern ricorrente: quando si tratta di Ucraina, i media mainstream e i leader occidentali si trasformano in “leoni” della giustizia internazionale; quando si tratta di Palestina, invece, subentra un inspiegabile “mutismo selettivo”.

Un argomento spesso utilizzato per giustificare i bombardamenti su Gaza è che Hamas userebbe i civili come scudi umani. Eppure, pochi si chiedono: se un raduno militare ucraino viene organizzato in un centro abitato,a Sumy, non si sta forse esponendo la popolazione civile a rischi analoghi?

Questo non significa giustificare l’attacco russo – ogni vittima civile è una tragedia – ma evidenziare l’ipocrisia di chi condanna un massacro e ne ignora un altro, applicando criteri diversi a situazioni simili. Se l’uso di scudi umani è un crimine, allora la condanna dovrebbe essere universale, non strumentale.

Il problema non è schierarsi con Mosca o con Kiev, con Israele o con la Palestina, ma pretendere un’informazione equilibrata, libera da doppi standard. Quando i media trasformano alcune vittime in martiri e altre in numeri dimenticati, diventano complici di una propaganda che alimenta divisioni e ingiustizie.

Chi denuncia questa disparità non è “filo-russo”, ma semplicemente contrario alla manipolazione dell’opinione pubblica. La vera domanda è: perché certi crimini meritano titoli a caratteri cubitali e altri vengono minimizzati? La risposta, purtroppo, è politica: perché alcuni interessi strategici (energetici, militari, geopolitici) pesano più di altri.

Ebbene basta ipocrisia, serve coerenza

La sofferenza umana non ha bandiere. Se vogliamo essere credibili quando parliamo di diritti umani e diritto internazionale, dobbiamo condannare con la stessa fermezza ogni violenza, ovunque accada. Altrimenti, non siamo difensori della giustizia, ma semplici strumenti di un’informazione pilotata che fa comodo ai potenti di turno.

La verità non è né di destra né di sinistra, né filo-occidentale né filo-russa. È tempo di smetterla con le narrazioni tossiche e pretendere giornalismo, non propaganda.

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