VELLETRI – 11 aprile 2025.
Un funzionario dell’Ufficio Notifiche Esecuzioni Protesti (UNEP) è stato raggiunto da una misura cautelare personale – divieto di avvicinamento alla città – eseguita dalla Compagnia della Guardia di Finanza su ordine del GIP, dott. Muscolo, su richiesta del Sostituto Procuratore dott. Ambrogio Cassiani.
Il parallelo con i publicani dell’antica Roma è inevitabile: costoro prendevano in appalto le imposte (il vectigal), anticipando alla Repubblica una certa somma, per poi esigere le tasse per proprio conto, per mezzo dei propri addetti. Come narrava Cicerone, quegli esattori arricchivano se stessi anziché lo Stato, approfittando dell’alibi dell’amministrazione.
A Velletri, l’accusa è che alcuni ufficiali giudiziari si siano comportati allo stesso modo: raccogliendo per sé le somme dovute per notifiche e pignoramenti, come se l’ufficio fosse un’impresa privata in appalto ai publicani. Le irregolarità ipotizzate parlano di notifiche non riconsegnate o alterate nei cronologici, somme registrate in modo scorretto, indennità di trasferta maggiorate, esenzioni illegittime concesse ad amici e conoscenti, oneri imposti arbitrariamente a chi non godeva dello stesso favore.
La gestione dell’ufficio – secondo l’accusa – sarebbe stata tanto opaca quanto personalistica, con una contabilità parallela e discrezionale. Ciò che sconcerta l’opinione pubblica è che, a oggi, sia stato colpito da misura cautelare solo un singolo funzionario, mentre altri – pure indagati – non sono stati destinatari di analoghi provvedimenti. La Procura potrebbe impugnare l’ordinanza e chiederne l’estensione al Riesame di Roma.
L’intera vicenda si colloca in un più ampio scenario di decadenza della burocrazia giudiziaria, dove l’assenza di controlli, la scarsità di personale e la rigidità del sistema si fondono in un miscuglio tossico. Non è un caso che venga evocata la figura di Akakij Bašmačkin, il grigio impiegato protagonista del Cappotto di Gogol’, scrittore ucraino di lingua russa dell’Ottocento del secolo scorso: schiacciato dalla burocrazia, trova dignità solo grazie a un modesto cappotto nuovo, per poi essere abbandonato al gelo e alla morte dopo che glielo rubano. La sua parabola – dalla marginalità al riscatto e infine alla dissoluzione – è il ritratto grottesco di un sistema che non protegge, ma divora.
Il Sostituto Procuratore della Repubblica dott. Cassiani ha intanto disposto l’acquisizione dei registri UNEP degli ultimi anni – modelli A, C, C/TER e F – nell’intento di verificare se dietro la coltre del disordine si celi un disegno doloso. I reati ipotizzati non sono di poco conto: peculato, falsità ideologica, omissione di atti d’ufficio, distruzione o sottrazione di documentazione amministrativa. In parallelo, sono stati calendarizzati interrogatori e accertamenti informatici per valutare il livello di consapevolezza e di eventuale concorso nei comportamenti contestati.
Un tempo, i governatori infedeli erano raccontati da Tacito come oggetto della severa giustizia imperiale. Oggi, la giustizia si gongola fra fascicoli, riesami e tempi morti. Ma l’interrogativo resta: la responsabilità è individuale o sistemica?
La vicenda dell’UNEP veliterno sembra il sintomo di una malattia cronica della pubblica amministrazione. Una malattia che si nutre di inerzia, favoritismi, deresponsabilizzazione, e dove spesso il confine tra inefficienza e abuso si fa sottile. In fondo, per alcuni, il fine resta sempre lo stesso: quel cappotto che ripari dal freddo.
Dante collocava i barattieri – ossia coloro che ricoprendo cariche pubbliche abusavano del potere per ottenere vantaggi personali – nella pece bollente, che ricorda il loro lasciarsi invischiare in traffici illeciti; e se tentavano di sollevarsi un poco per alleviare la loro pena, i diavoli li dilaniavano con le unghie e con gli uncini; oggi tocca al diritto penale e alla trasparenza amministrativa fare giustizia, tra carte e ricorsi.
Ma la domanda – antica quanto il potere – rimane sospesa: chi controllerà i controllori?