Pachino: Nella punta meridionale della Sicilia, la piccola città di Pachino è silenziosamente diventata un microcosmo di cambiamento globale.

con la collaborazione di Giuseppe Campisi


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Pachino, nota per i suoi pomodori e la sua tradizione peschereccia, e’ una cittadina che si trova ora al centro di un diverso tipo di raccolto: il movimento umano. Nell’ultimo decennio, migranti provenienti da Africa e Asia sono arrivati insieme alle loro storie, tra difficoltà e speranza, innescando una profonda trasformazione nella comunità locale. Questo reportage inizia esplorando come Pachino abbia risposto a questi cambiamenti – non attraverso politiche redatte in capitali lontane, ma attraverso il lavoro pratico delle organizzazioni locali. Attraverso le voci di coloro che sono in prima linea iniziamo a mappare come una città si riconfigura di fronte a nuove realtà. Cosa significa appartenenza? Chi decide come si evolve una comunità? E come può un luogo come Pachino negoziare la tensione tra tradizione e transizione?
Questo è il primo passo di un viaggio in tre parti. Qui, poniamo le basi.

Parte I: La soglia dell’incontro

Pachino è un paese situato nel Sud Italia, a pochi chilometri dall’Africa. Ci troviamo in Sicilia, dove i migranti trovano il primo punto di ancoraggio quando abbandonano la loro terra. Gli sbarchi dei migranti hanno necessariamente imposto un processo di riconfigurazione della vita della comunità costiera. Per scrivere questo reportage e’ stata utilizzata una raccolta dati primaria (cioe’ dati raccolti direttamente) soprattutto tramite interviste. Sono inoltre stati utilizzati dati secondari forniti dall’associazione Stella Maris. Il dott. Giuseppe Campisi, co-autore di questo reportage, ha curato la parte geopolitica.
Intervistando la coordinatrice del centro SAI (Sistema Accoglienza Integrato), dott.ssa Giuseppina Alescio e il suo team ho raccolto non solo informazioni ufficiali sul protocollo d’azione per la gestione delle migrazioni, ma anche il punto di vista di persone appartenenti alla comunità. Successivamente, l’intervista al Dott. Campisi e’ servita da spunto per la connessione dei due aspetti principali della ricerca: il primo e’ la comunita’ e il secondo le strategie sociali. Il valore aggiunto a tutto questo si basa sul fatto che, tutti gli intervistati, sono anche residenti locali. Pertanto la loro testimonianza e’ arricchita dalla giusta dose emotiva di chi parla della terra dove vive.

Intervista al centro SAI Stella Maris di Pachino

Il centro SAI di Pachino

La dott.ssa Alescio ell’associazione Stella Maris, prima responsabile e coordinatrice del centro SAI di Pachino, mi spiega il Sistema di Accoglienza Integrato configurandolo come una rete creata tra Enti Locali, Comuni e associazioni come, in queato caso, Stella Maris. Nel caso specifico di Pachino, Stella Maris riceve le persone nella seconda fase del processo di accoglienza. Le persone che arrivano hanno più di 18 anni e provengono dai Centri di Prima Accoglienza. Possiedono gia’ lo status di rifugiati, hanno già superato la verifica dei documenti e hanno ottenuto il diritto di rimanere in Italia. Il Centro è il primo punto di riferimento per questi ragazzi. L’obiettivo e’ l’integrazione definitiva all’interno della società. Attualmente il centro SAI di Pachino ospita quarantacinque persone, provenienti da diversi paesi: Bengala, Burkina Faso, Senegal, Gambia, Mali. Questi ragazzi sono accolti in appartamenti gestiti dall’associazine stessa.

Il processo di integrazione

L’alfabetizzazione è il primo passo importante per l’integrazione dei migranti; vengono invitati a frequentare corsi di lingua e alcuni di loro frequentano la scuola superiore e conseguono il diploma. In questo modo, si integrano nella vita locale. La maggior parte dei lavori a Pachino è nel settore agricolo e alberghiero; L’avvocato del team Stella Maris, dott.ssa Sebastiana Dimartino, spiega come, nonostante la scarsa alfabetizzazione nella loro lingua madre, il centro fornisca loro tutti gli strumenti per vivere il più possibile in parità di partecipazione. L’insegnante di lingua italiana, dott.ssa Alessia Cammisuli, ha evidenziato la difficoltà di insegnare l’italiano, soprattutto in relazione alle differenze culturali. Nonostante ciò, alcuni di loro sono riusciti a diventare mediatori linguistici. L’educatrice, Dott.ssa Irene Lucifora, li aiuta a comprendere quali siano le loro competenze per lavori sia di volontariato che retribuiti. Inoltre, vengono organizzati periodicamente diversi laboratori per migliorare le competenze e creare relazioni comunitarie.

Mentre gli sforzi locali dipingono un quadro vivido di come l’integrazione viene gestita sul campo, per comprendere le forze più ampie che plasmano queste migrazioni è necessario allargare lo sguardo, concentrandosi in primo luogo sulle dinamiche geopolitiche che spingono le persone ad allontanarsi dalla propria terra. Ci viene in aiuto per questo il dott. Giuseppe Campisi il quale, oltre a concedermi un’intervista, ha realizzato la prossima sezione di questo articolo.

Dalla rivoluzione alla restaurazione, ma niente può fermare la fuga dei disperati verso le coste italiane.

Il Maghreb e l’avanzare dei populismi. Di Giuseppe Campisi

Gli occhi del Maghreb puntati sull’evoluzione politica, sociale ed economica siriana, all’indomani dell’avvento della rivoluzione guidata da Muhammad Al Jolani, la dicono lunga sui nuovi risvolti politici e sociali che riguardano la fascia nord occidentale dell’Africa. Esiste e persiste il dramma dei popoli, la continua fuga da paesi come la Tunisia, l’Algeria, il Marocco, e quella fascia territoriale contesa tra Algeria e Marocco che riguarda il Sahel e l’area sub sahariana dell’Africa. Oltre alla territorialità, ci sarebbero come oggetto di analisi, le ultime primavere arabe che hanno sconvolto non solo il Maghreb, ma quelle nazioni che si affacciano sul Mediterraneo sud orientale e che hanno sempre seguito una logica anti imperialista e prettamente territoriale. Ciò ha provocato intensi conflitti armati e una fuga di massa dove l’Europa inerme, ma solo in parte, ha attivato i protocolli di accoglienza e ospitalità ad un esercito di disperati in fuga da fame, miseria e guerre continue.

Flussi Migratori

Pachino Centro di accoglienza

La caduta del regime di Muhammad Gheddafi nell’area del Maghreb ha generato profondi sconvolgimenti socio politici nell’area mediterranea riguardante il quadrante nord occidentale dell’Africa. Pensando alla Libia, si crede subito ad un qualcosa che si avvicina alla restaurazione, di conseguenza ad un processo politico che si avvicini non solo ad un Islam moderato, lontano dai rigidi schemi anti democratici e dittatoriali, ma vicino a processi di transizione politica che “dovevano” portare ad uno stato nazione più democratico e in perfetta sintonia con i modelli del pluralismo politico. Utopia, pura e semplice utopia. I flussi migratori, verso le coste della Sicilia sono aumentati nettamente, e ad aumentarne l’intensità sono state le primavere arabe, scoppiate in tutto il Maghreb (Tunisia, Algeria, Marocco, Sahel) con un netto risveglio in Mali e nel Niger, dove le comunità tribali formate in prevalenza da gruppi armati eterogenei si sono ribellate ai rispettivi regimi. In tutta questa kermesse di un probabile islam politicizzato, contrapposto ad un Islam radicale e impiantato sul connettivo socio economico, gli effetti collaterali sono quelli della continua fuga da paesi che nell’era post rivoluzionaria-spenta subito-hanno visto emergere quei partiti che in qualche modo, tra l’indotto politico e il dogma religioso, avrebbero dovuto mantenere la via della moderazione, ma senza nessun risultato al giorno d’oggi.

Nella breve analisi  affrontata in poche righe, esiste un chiaro ed indelebile dramma che costringe i popoli ad abbandonare la propria terra per cercare paesi, dove avere un pasto caldo e la pace tanto desiderata, ma mai avuta. Le primavere arabe, hanno provocato un impatto molto vicino alla grande illusione di ogni singolo cittadino del mondo, basti pensare all’impatto che ha avuto in termini numerici il flusso dalle coste africane verso quelle siciliane ed europee. Lampedusa e l’area sud orientale della Sicilia protagoniste assolute nell’accogliere e ricevere donne, uomini, anziani, bambini di ogni nazionalità e, nella stragrande maggioranza dei casi, provenienti dai paesi dell’Africa sub sahariana e nord occidentale.

Nel 2011 in piena primavera araba, gli sbarchi ammontavano ad un numero di 62.692 persone con 3.500 siriani approdati nelle nostre coste. La rimanenza riguardava per lo più egiziani, tunisini, algerini, maliani, senegalesi, nigeriani e persone provenienti da Burkina Faso. Molti richiedenti asilo politico, come egiziani, in fuga dalle sommosse clandestine dei Fratelli Musulmani, oppure siriani in fuga dall’oppressione cieca e sanguinaria del regime alawita di Bashar al Assad. Al dramma siriano, bisogna aggiungere una costante curda, in fuga dai territori contesi del Kurdistan iracheno e nei territori cuscinetto tra Siria e Turchia. Non è confortante la situazione nel Rojava al confine turco siriano, dove si combatte non solo contro l’ISIS, ma anche contro le ingerenze del governo turco. Considerando la rotta via terra e non solo quella via mare, nell’arco di un quinquennio, fino al 2015, gli sbarchi sono aumentati in maniere sostanziale fino a raggiungere l’apice di 181.416 persone. Nel 2016 sempre con la stessa costante, l’aumento riguardava cittadini maghrebini, in fuga non dalla guerra, ma da un sistema paese che in materia di welfare e troppo lontano dai modelli europei.

Tunisini e algerini, seguiti da un nutrito numero di egiziani e senegalesi, cercano fortuna in Europa, provando a fuggire dallo sfruttamento della loro terra. Sfruttamento operato da parte del nord del mondo, capitalista e propenso a intavolare processi politici ed economici che mirano all’impoverimento delle popolazioni. Questo provoca la migrazione della popolazione Africana,che si riversa sulle coste italiane. I dati del Ministero dell’interno, mostrano chiaramente come in seguito alle primavere arabe, gli sbarchi hanno avuto una netta flessione, fino ad arrivare nel 2020 con 34.154 persone. Come mai questo netto calo? Le politiche europee e di conseguenza l’avanzare dei populismi e dei sovranismi in Europa, hanno portato ad una visione opposta al tema dell’accoglienza, tanto caro alle sinistre europee e inviso alle destre nazionali. I controlli più severi alle frontiere non ostacolano i flussi migratori che sfuggono ai controlli da parte delle autorità dei governi coinvolti.

Ci fermiamo qui per ora. Ma il viaggio continua…….

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