Giovanni Tesio autore del celeberrimo testo didattico di letteratura Lo spazio letterario, porta a Catania il suo “Diario di un camminante”. Sulla strada per Santiago”, preziosa narrazione di un’esperienza introspettiva, irripetibile, che tocca le corde del sacro e dell’umano.
Grazia Calanna
Sul palcoscenico del cielo si innalza una luna piena, densa di misteri, che Joana contempla come fosse un presagio. Sono le 22 quando giungiamo all’ostello, immersi nei piccoli riti della sera, tra i respiri quieti di chi già dorme. Mi ritrovo sul letto superiore, il cuore inquieto e la certezza di un sonno che sarà fragile, mentre lentamente mi lascio attraversare dallo spirito comunitario e ascetico dei pellegrini.
Un frammento del libro “Diario di un camminante. Sulla strada per Santiago”, edito da Lindau, introduce il nostro incontro con l’autore Giovanni Tesio, che ha voluto affidare alla scrittura una testimonianza vivida e luminosa, narrata con vibrante “precisione espressiva”, suggellata da una filigrana letteraria che rievoca l’amicizia spirituale con Primo Levi.
Il libro è stato presentato venerdì 4 aprile, alle ore 17.30 presso la Mondadori di Piazza Roma, Catania. Intervenuti, insieme all’autore, Renato Pennisi e Salvatore Scalia; letture a cura di Anna Vigilia.
Un cammino condiviso, un percorso di luce, che fin dai primi passi accende un dialogo interiore?
Oltre ottocento chilometri, frammentati in tappe che sfiorano i quaranta chilometri, diventano un rosario di passi che mettono alla prova il corpo, ma soprattutto aprono varchi interiori. I pensieri si srotolano come antichi rotoli, si perdono nel tempo e riemergono come richiami ancestrali. È un moto lento di coscienza, dove si intrecciano esami dell’anima, bilanci morali, visioni. Il paesaggio esteriore si fonde con quello interiore, come uno specchio d’acqua che riflette il cielo e le radici.
Nel luglio 2023, ventitré giorni di pellegrinaggio e tre da osservatori?
Sì, un tempo sospeso, benedetto da un clima mite e cieli limpidi. Il cammino, spesso avviato alle prime luci dell’alba — alle cinque, cinque e mezza — è accompagnato da colazioni silenziose e arrivi attorno alle due del pomeriggio. Dopo, il riposo, la cura del corpo, l’ascolto e la parola. Il “Camino” è anche crocevia di anime, di presenze degne di essere ricordate. È un viaggio nella carne e nello spirito, nella solitudine popolata dalla voce dell’altro.
Giungere a Santiago: apice o metamorfosi?
Un’epifania. Raggiungemmo la piazza davanti al santuario il giorno dopo la grande festa, sopraffatti da un pianto che era più di commozione: era catarsi. Ogni meta raggiunta porta con sé la dolce fatica della volontà, ma qui c’era qualcosa di più. L’atmosfera di gioia, l’abbraccio invisibile dei cuori giovani, e soprattutto quel mutamento interiore — silenzioso e profondo — che ci aveva accompagnato. In me, il cammino si è fatto ricordo, guarigione, ricomposizione di memorie sepolte, che ora trovavano posto e senso. La messa solenne del giorno dopo ha suggellato tutto.
“Accordi di fiato, gioia segreta”: quali le rivelazioni del Cammino, che non stravolge, ma converte?
“Perché il “Camino” è la fratellanza del silenzio. È il respiro sacro della solitudine condivisa. È la liturgia di passi che ridonano sacralità al corpo. È una marcia interiore, un combattimento invisibile con sé stessi. Il “Camino” apre sentieri spirituali anche in chi non si crede credente. È un’esperienza che accende la consapevolezza e suggerisce, con la delicatezza del vento, che un’altra vita, più essenziale, più vera, è possibile”.
Dott.ssa Melinda Miceli Editorialista, Critico d’arte