Roma, marzo 2025 – In un’aula silenziosa della Corte d’Appello di Roma, sotto lo sguardo composto ma fermo dei giudici della VII Sezione civile, va in scena una di quelle vicende che sembrano nate per diventare romanzo.

Sul banco degli atti c’è la memoria di una donna, Gloria Battista, e insieme ad essa ci sono pagine che pesano più delle parole: testamenti non scritti, successioni incrociate, atti notarili, vincoli di fondo patrimoniale, terreni con usi civici e una storia di sangue spezzato tra figli di primo e secondo letto.

Gloria è la figlia di Antonio Battista, un uomo conosciuto dal grande pubblico col soprannome suggestivo di Mago di Arcella. Ma non c’è niente di magico in ciò che oggi la figlia chiede ai giudici: vuole che si faccia luce su un’eredità che ritiene sottratta con destrezza e silenzio. Un gioco a incastro tra diritto e proprietà, tra atti notarili e norme urbanistiche, in cui ogni tessera sembra stata mossa con perizia, ma anche – a suo dire – con dolo.

La genealogia del conflitto

Antonio Battista, prima del matrimonio con la seconda moglie, aveva una figlia: Gloria. Era lei l’erede naturale, l’unica ad aver accettato l’eredità del padre quando questi morì, nel luglio del 2012. Gli altri figli – nati da seconde nozze– avevano rinunciato. Ma non prima, sostiene Gloria, di aver svuotato il patrimonio paterno attraverso un sapiente gioco di passaggi immobiliari e successioni travestite.

Tutto comincia quando il Mago di Arcella, per motivi fiscali – così recitano le carte – trasferisce i suoi beni alla seconda moglie, in sede di separazione legale e poi di divorzio. Lei, però, premuore. E allora quei beni finiscono nelle mani dei figli della seconda unione. Ed è lì che la macchina si mette in moto. Successione alla madre, volture catastali, vendite. Un domino che – se le cose stanno come dice Gloria – sarebbe stato costruito sulla sabbia, o meglio su suolo civico, cioè pubblico.

La terra, i diritti e gli inganni

Il cuore del contenzioso batte su una manciata di particelle catastali a Roma, in via Tuscolana. Terreni acquistati dai figli di seconde nozze dal Comune di Frascati nel 2004. Ma quei terreni, argomenta la difesa di Gloria, assistita dall’avvocato Carlo Affinito, non erano di proprietà privata: erano gravati da uso civico e dunque inalienabili senza il previsto concerto con Regione e Ministero dell’Ambiente. Non solo: sopra quei terreni vi erano fabbricati, costruiti nel 1973 da Antonio Battista, il Mago di Arcella stesso, in qualità di livellario, cioè possessore dell’utile dominio su fondo altrui.

La costruzione, avvenuta su terreni demaniali, fu poi oggetto di sanatoria edilizia. Ma la Corte costituzionale – intervenuta anni dopo e in corso di giudizio – ha dichiarato incostituzionale l’art. 8 della legge regionale che consentiva la vendita agevolata di suolo civico a chi vi avesse edificato abusivamente. Un colpo di spugna retroattivo, che ha reso nulla quella norma per i rapporti ancora pendenti. E tra questi, c’è la vicenda dell’eredità del Mago di Arcella.

Gloria sostiene che l’acquisto del suolo da parte dei fratellastri non sia valido, e che la vendita del 2004 – avvenuta mediante scrittura privata autenticata da un notaio che, cautamente, non volle redigere un atto pubblico – sia giuridicamente nulla. Argomenta che l’accessione – quel principio per cui il suolo e il soprassuolo si uniscono nel medesimo diritto – non può operare in questo caso. Non solo per la natura pubblica del suolo, ma perché la cronologia degli atti lo impedisce: prima la costruzione, poi l’acquisto del terreno. E in mezzo, decenni di silenzio.

L’accusa: un patrimonio sottratto

C’è un punto centrale nella tesi di Gloria: i fratellastri non potevano disporre di ciò che non era loro. Gli atti con cui hanno venduto o vincolato quei beni – si pensi alla costituzione di fondi patrimoniali – sarebbero nulli, inopponibili, inefficaci. Vendite a terzi, locazioni, fondi familiari: tutto ciò, dice la ricorrente, è stato fatto da “non domini”. Come se chi non possiede una casa la offrisse in garanzia. “Siamo dinanzi alla vendita di cosa altrui”, argomenta l’avvocato Affinito nella sua comparsa conclusionale, invocando la dottrina, la giurisprudenza e la logica più elementare.

I numeri, i valori, la richiesta

Gloria non chiede solo giustizia astratta: quantifica il danno in milioni di euro. Somma che tiene conto dei frutti mancati, degli affitti percepiti da altri, degli anni in cui – secondo lei – il suo patrimonio è stato utilizzato da chi non ne aveva titolo. E chiede, in via subordinata, almeno il riconoscimento dell’arricchimento ingiustificato dei fratellastri, che avrebbero goduto di beni non loro, locandoli e traendone profitto. Insiste sull’inopponibilità degli atti, sulla nullità delle compravendite, sull’impossibilità giuridica degli oggetti venduti. E lo fa con atti giudiziari densi di riferimenti, a sentenze, norme, date e dettagli che parlano di una lunga battaglia, combattuta con le armi del diritto.

Questa storia è il riflesso di molte Italie. L’Italia dove i notai preferiscono non firmare, per cautela. L’Italia dei diritti antichi, come l’uso civico, che ancora vincola il presente, con diritti che muovono da norme dello Stato Pontificio dell’Ottocento. L’Italia delle famiglie spezzate, dove il dolore si scrive nei registri immobiliari più che nei ricordi. L’Italia dove i figli si contendono il passato, ma in palio c’è il futuro.

Sarà la Corte d’Appello di Roma a dire l’ultima parola. Intanto, questa storia ci ricorda una cosa semplice: ci sono verità che non si trascrivono nei registri, ma si leggono negli sguardi di chi, per decenni, ha visto passare davanti a sé la propria casa abitata da altri. E non ha mai smesso di bussare.

L’intervista a Gloria Battista, figlia del Mago di Arcella: “Mi hanno tolto tutto, ma non la memoria. Ora la verità deve venire fuori”

Roma, marzo 2025 – In un silenzioso appartamento della periferia romana, tra scaffali di faldoni processuali e vecchie fotografie in bianco e nero, ci accoglie la signora Gloria Battista. Lo sguardo è determinato, la voce misurata ma ferma. È al centro di una causa civile che racconta molto più di una disputa ereditaria: parla di radici, di silenzi familiari, di giustizia e memoria. È l’unica figlia erede di Antonio Battista, meglio conosciuto come il Mago di Arcella, il Mago dei Vip. Ma oggi non si parla di illusioni: oggi si parla di terra, mattoni e verità.

D. Signora Battista, cominciamo dal principio. Chi era suo padre, Antonio Battista?

R. Mio padre era un uomo complesso, pieno di risorse. Pubblicamente era noto come il “Mago di Arcella”, ma in famiglia era un uomo pratico, concreto, che si era costruito da solo. Aveva una visione patrimoniale molto chiara, e costruì – anche letteralmente – il suo futuro e quello della sua famiglia. Ma poi… tutto è andato perduto, e non per colpa sua.

D. Lei è figlia di primo letto. Cos’è accaduto dopo il secondo matrimonio di suo padre?

R. Dopo il matrimonio con la seconda moglie, mio padre, per motivi di tasse, trasferì a lei tutti i suoi beni, attraverso la separazione e il divorzio. Ma erano solo passaggi finti, tutti sapevano che quei beni erano suoi. Poi la seconda moglie è venuta a mancare. E lì è cominciata la distorsione.

D. In che senso?

R. I figli della seconda moglie – miei fratellastri – hanno presentato la successione della madre inserendo tra i beni anche quelli che erano di mio padre ceduti a lei nella separazione per evadere le tasse. Appena fatta la successione, hanno mandato via mio padre dal Castello Bianco dei Mobili d’Arte della Brianza e hanno volturato, venduto, messo a reddito. Quando lui è morto, nel 2012, hanno rinunciato all’eredità, dopo averne goduto i frutti. E io mi sono ritrovata erede sì… ma di un patrimonio svuotato. A questo punto, ho chiamato la mia sorellastra, chiedendo la mia parte di eredità e lei mi rispose: “ormai è tutto mio, sfido qualsiasi giudice o avvocato che ti possa dare ragione! Sono in una botte di ferro! Fammi scrivere subito da un avvocato!”. Per questo motivo, ho dovuto iniziare delle cause in tribunale.

D. E questo patrimonio in cosa consisteva?

R. In terreni e fabbricati situati in via Tuscolana, a Roma. Terreni che, per legge, erano con l’uso civico, per capirci, tipo terreno demaniale ma riscattabile, quindi non erano commerciabili liberamente. Mio padre, fin dagli anni Settanta, vi aveva costruito edifici come livellario, cioè possessore del cosiddetto “utile dominio”. Gli atti lo dimostrano: era tutto suo. E ora quei beni sono intestati ad altri, perché quando li hanno riscattati hanno dichiarato il falso, ovviamente, figli di Mago, possono fare le magie!

D. Ma i suoi fratellastri dicono di averli ricevuti legittimamente dalla madre.

R. Non è vero. Hanno inserito quei beni nella successione della madre pur sapendo che non erano suoi. Li hanno poi acquistati dal Comune di Frascati, dichiarando il falso, dicendo di aver costruito loro il Castello Bianco dei Mobili d’Arte della Brianza, quando invece mio padre ha comprato tre lotti di terreno enfiteutici da tre anziani, a cui li avevano assegnati quali Reduci di Guerra. In causa ho dimostrato con dei documenti che fu mio padre ad acquistare questi terreni, che era stato lui a costruire i fabbricati e ho depositato il contratto di appalto relativo alle costruzioni. Mio padre chiese la concessione edilizia in sanatoria che fu ritirata dalla seconda moglie esibendo la copia della sentenza di divorzio. I miei fratellastri avevano un anno di vita e l’altro è nato nove anni dopo la costruzione del Castello Bianco e invece hanno acquistato il terreno dal Comune di Frascati dichiarando che avevano costruito loro l’edificio. Poi la legge regionale che consentiva la vendita dei suoli edificati con uso civico fu dichiarata incostituzionale nel 2018. Quindi quegli atti, oggi, sono nulli. Ma io lo dicevo da prima.

D. C’è chi potrebbe dire: è una questione tecnica, giuridica. Ma per lei, cos’è?

R. Per me è una questione di giustizia. Mi hanno esclusa, scientemente. Hanno preso beni non loro. Li hanno affittati, usati, ipotecati. Hanno perfino costituito fondi patrimoniali su immobili che non avevano mai ricevuto per delazione. È come se qualcuno si fosse seduto a casa tua e avesse detto: “Ora è mia”. E nessuno fosse intervenuto.

D. Lei chiede un risarcimento importante: oltre 25 milioni di euro.

R. Non è avidità. È il calcolo di quanto non mi è stato restituito. Parliamo di immobili locati per anni, di beni che producevano reddito. Ma più che il denaro, voglio riaffermare un diritto: quello a non essere ignorata, a non essere spogliata. Mio padre aveva previsto per me una continuità, e quella mi è stata negata.

D. Cosa rappresentano per lei quei beni oggi?

R. Non sono solo mattoni. Il Castello cointestato con la seconda moglie è stato costruito prima; la casa tutta di mio padre, che noi chiamavamo “La Casetta”, è stata costruita dopo, e ovviamente si tratta non di una casetta, ma di una mega villa. Per la parte centrale, dal momento che è stata costruita abusivamente, la notte facevamo i turni io, una mia amica di nome Brunella e un operaio di nome Antonio, per vedere se arrivavano i vigili e appena vedevamo la macchina dei vigili, fischiavamo agli operai, che si volatilizzavano all’istante. Sono ricordi, sono le mani di mio padre che disegnavano quei progetti, che firmavano i contratti d’appalto, che scrivevano lettere al Comune. Sono la prova che esiste un legame, che non si cancella con una voltura catastale.

D. Come si sente oggi, dopo anni di battaglie legali?

R. Stanca, ma determinata. Non mi fermo. Ho la coscienza pulita e la documentazione con me. Ho avuto accanto un avvocato – Carlo Affinito – che ha creduto nella mia causa. E ora spero solo che la giustizia faccia il suo corso, senza cedere alla tentazione di chiudere gli occhi per “comodità”.

D. E se potesse dire qualcosa ai suoi fratellastri?

(Silenzio)

R. Direi: non c’è vittoria che valga il prezzo dell’ingiustizia. Nulla di ciò che avete costruito durerà, se poggia sulla sabbia.

D. E se domani la Corte le desse ragione?

R. Non sarebbe una rivincita. Sarebbe semplicemente ristabilire un ordine naturale. Perché il diritto, quando è giusto, somiglia molto alla verità. E io la verità la conosco da sempre.