di Yuleisy Cruz Lezcano

La violenza di genere è un fenomeno complesso che non può essere ridotto a una semplice questione di aggressione fisica o psicologica, ma è intrinsecamente legato a fattori sociali, culturali, psicologici e biologici. Tradizionalmente, le politiche e gli approcci terapeutici per contrastare la violenza di genere hanno focalizzato l’attenzione sulle dinamiche di potere e controllo tra uomini e donne, spesso ignorando l’ampia gamma di esperienze che riguardano coloro che non si identificano nei rigidi binari di genere maschile o femminile. Un nuovo modello di intervento deve pertanto prendere in considerazione non solo la complessità del fenomeno in sé, ma anche l’ambiente in cui l’atteggiamento violento si sviluppa, integrando visioni più inclusive dell’identità di genere e una comprensione più sfumata della funzione cerebrale in relazione alle dinamiche interpersonali.

Il binarismo tradizionale maschio-femmina, che vede il genere come una dicotomia netta e rigida, non solo limita le possibilità di comprensione della violenza di genere, ma perpetua anche una visione semplificata della realtà. Le esperienze di violenza e oppressione non sono universali per tutti gli individui all’interno di ciascun genere, e ancor meno per coloro che si identificano come non binari, genderfluid, o transgender. Queste persone, infatti, sperimentano una realtà di violenza che va oltre quella di chi rientra nei tradizionali schemi maschili o femminili. Le violenze che subiscono, siano esse fisiche, psicologiche o istituzionali, spesso sono invisibili o non completamente comprese, sia dalla società che dagli approcci terapeutici esistenti. È quindi fondamentale costruire un modello di intervento che possa includere tutte le identità di genere, riconoscendo la pluralità di esperienze. Contrastare il binarismo di genere non significa solo abbattere le categorie tradizionali di maschio e femmina, ma anche promuovere una comprensione più ampia e inclusiva delle differenze di genere, con l’obiettivo di ridurre la violenza e promuovere relazioni basate sul rispetto, sull’empatia e sull’inclusione.

Un approccio personalizzato e sensibile alle diversità di genere, che utilizza la poesia come strumento terapeutico e educativo, può rivelarsi un mezzo potente per affrontare e trasformare le dinamiche violente, creando spazi di riflessione e cambiamento per le persone coinvolte.

Uno degli approcci più potenti per affrontare la violenza di genere è l’intersezionalità, un concetto che prende in considerazione il modo in cui fattori come genere, sesso, etnia, status socioeconomico e differenze culturali si intrecciano e influenzano le esperienze di oppressione. L’intersezionalità ci permette di comprendere che la violenza non si manifesta allo stesso modo per tutti, e che esistono forme specifiche di violenza che colpiscono in modo particolare le persone appartenenti a categorie sociali emarginate o vulnerabili. Ad esempio, una donna di colore appartenente a una classe sociale bassa potrebbe sperimentare una forma di violenza di genere che è diversa, per intensità e modalità, da quella di una donna bianca di classe medio-alta. Le dinamiche strutturali che favoriscono la discriminazione, la segregazione sociale e l’esclusione economica si intrecciano con le disuguaglianze di genere, creando un contesto in cui la violenza può essere esercitata in modo più sistematico e invisibile. Allo stesso modo, una persona non binaria o transgender potrebbe affrontare violenza o discriminazione che è un risultato diretto dell’intolleranza sociale e delle norme di genere rigide, un fenomeno che non può essere spiegato solo attraverso il paradigma maschile-femminile tradizionale.

Recenti ricerche neuroscientifiche hanno iniziato a esplorare come la funzione cerebrale si colleghi all’identità di genere, evidenziando come il cervello non possa essere compreso come una semplice “divisione binaria” tra maschile e femminile. Le differenze cerebrali tra i sessi, seppur esistenti, sono estremamente più complesse di quanto si pensasse in passato. La plasticità del cervello umano e l’influenza che la socializzazione e le esperienze personali hanno sulla sua configurazione suggeriscono che le aree cerebrali coinvolte nell’elaborazione delle emozioni, nella regolazione del comportamento e nell’interazione sociale possano essere modellate dall’identità di genere, dalle esperienze di vita e dalla cultura circostante.

Inoltre, gli studi sul dimorfismo sessuale cerebrale, che esaminano come le strutture cerebrali differiscano tra i maschi e le femmine, mostrano che tali differenze non determinano necessariamente comportamenti violenti o aggressivi. Piuttosto, è la società che impone norme e aspettative sui comportamenti legati al genere, influenzando come il cervello reagisce a certi stimoli sociali, come la competizione, la dominanza e la sottomissione. In questo contesto, è fondamentale riconoscere che le esperienze di violenza non sono determinate unicamente da fattori biologici, ma sono strettamente legate alle strutture sociali e culturali in cui l’individuo è immerso.

Il binarismo di genere è alla base di molte strutture di potere e controllo che alimentano la violenza di genere. La divisione netta tra maschile e femminile crea aspettative rigidamente definite su come le persone dovrebbero comportarsi, relazionarsi e sentirsi, a seconda del loro genere. Questo sistema spesso porta a pressioni sociali e culturali che giustificano comportamenti violenti, in particolare nei confronti di chi non si conforma alle aspettative di genere tradizionali. Le donne, ad esempio, sono spesso viste come inferiori o subordinate, mentre gli uomini sono stimolati a percepirsi come dominanti e aggressivi.

La poesia consente di esplorare il proprio vissuto di violenza e di dolore, ma anche di immaginare nuovi modi di essere e di relazionarsi, al di fuori delle rigide categorie del binarismo di genere. La scrittura poetica diventa così un mezzo di autoconsapevolezza, di liberazione e di empowerment. Attraverso la poesia, si dà voce a chi non ha voce, si riconosce e si valida l’esperienza di chi vive l’esclusione e la violenza, e si promuove una cultura che rispetta e celebra le differenze. L’approccio personalizzato attraverso la poesia può essere combinato con altre tecniche di intervento come la Terapia Cognitivo-Comportamentale (CBT), che aiuta a ristrutturare i pensieri disfunzionali, e la “mindfulness”, che promuove la consapevolezza del momento presente. L’integrazione di questi approcci può favorire una visione globale e inclusiva del cambiamento, affrontando la violenza di genere da un punto di vista multidimensionale.

Fonte

«The Cognitive Behavioral Therapy Workbook for Personality Disorders»; James P. McPartland e John H. McGowan; casa editrice New Harbinger Publications; 2015

foto Odysseo

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