di Raffaele Gaggioli

Sabato mattina, i giudici del tribunale di Istambul hanno confermato l’arresto del sindaco della città Ekrem Imamoglu. L’ormai ex cittadino della città è stato accusato di corruzione, estorsione e favoreggiamento nei confronti di associazioni criminali e dei terroristi del PKK (Partito Lavoratori del Kurdistan). Oltre a Imamoglu, la polizia turca ha arrestato con simili accuse altre cento persone legate ad ambienti imprenditoriali, politici e culturali che hanno criticato in passato l’operato del presidente turco Recep Tayyip Erdoğan.

I critici di Erdogan, dentro e fuori la Turchia, hanno accusato il presidente turco di star compiendo un autentico colpo di stato. Imamoglu è stato infatti arrestato pochi giorni prima di essere ufficialmente nominato dal Partito Popolare Repubblicano come candidato per le elezioni presidenziali del 2028. Secondo i sondaggi, l’ex sindaco di Istambul aveva buone possibilità di vincere, ma l’arresto e l’eventuale condanna rischiano ora di porre fine alla sua carriera politica.

I suoi sostenitori hanno peraltro sottolineato che non è la prima volta che il governo turco cerca di togliere di mezzo Imamoglu attraverso cavilli legali. Nel 2019 Erdogan aveva tentato di annullare il risultato delle elezioni comunali di Istambul per far vincere il suo candidato contro Imamoglu, citando non ben specificate irregolarità nel voto, e poco prima dell’arresto l’università di Istambul aveva revocato la laurea del primo cittadino senza alcun motivo (la Costituzione turca permette solo ai laureati di candidarsi come presidente).

Oltre alla poca credibilità delle accuse e agli incidenti precedenti, l’impressione di essere di fronte ad un colpo di stato è rafforzata anche dalle mosse di Erdogan contro proteste ed altri disordini. La polizia turca ha blindato Istambul, vietando tutte le dimostrazioni pubbliche e imponendo il coprifuoco fino al 27 marzo. E’ stato inoltre vietato l’ingresso a giornalisti stranieri e turchi, con l’eccezione di quelli appartenenti ai media governativi o degli alleati politici di Erdogan.

Le precauzioni del governo Turco non sembrano però aver funzionato completamente. Durante il suo arresto del 19 marzo, Imamoglu è riuscito ad usare i social per denunciare quanto stesse accadendo, mentre il Partito Popolare Repubblicano ed altre forze politiche turche hanno invitato i loro sostenitori a scendere in piazza. Le manifestazioni, iniziate mercoledì a Istanbul, si sono poi estese a più di 55 delle 81 province turche, scatenando scontri con la polizia antisommossa nelle peggiori proteste di piazza del Paese in oltre un decennio.

La violenza e l’instabilità politica stanno anche danneggiando l’economia turca. Dopo l’arresto di Imamoglu, il valore della lira turca è sceso di oltre il 10% rispetto al dollaro e all’euro. Allo stesso tempo, i titoli di stato turchi continuano a scendere di valore al punto che la Borsa del Paese ha già dovuto chiudere i battenti in anticipo più volte nel corso della settimana.

Nonostante la violenza e la crisi economica, Erdogan non sembra però disposto a cambiare rotta. La TV di stato ha denunciato i responsabili delle proteste come complici di terroristi che mettono in pericolo la vita dei poliziotti turchi. Inoltre il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Istanbul è stato destituito a causa delle sue proteste contro l’arresto di Imamoglu e altre politiche autoritarie di Erdogan.

Il presidente turco è già sopravvissuto a simili proteste nel 2013 e stavolta conta di avere un maggiore supporto da parte della comunità internazionale grazie all’importanza strategica del suo governo.

Nonostante la violenza e la soppressione dei diritti civili in Turchia, l’Unione Europea non ha infatti rilasciato quasi alcuna dichiarazione su quanto sta succedendo. Le politiche di Erdogan hanno infatti finora impedito lo scoppio di una nuova crisi dei rifugiati, in quanto i suoi soldati impediscono il passaggio di immigrati attraverso il territorio turco e garantiscono la stabilità della Siria. Inoltre, il presidente turco ha già offerto le sue forze armate per l’eventuale difesa dell’Ucraina dopo un futuro cessate il fuoco con la Russia.

Anche se le azioni di Erdogan diminuiscono ulteriormente le chance della Turchia di entrare a far parte dell’Unione Europea, è quindi improbabile che Bruxelles voglia rischiare ulteriore violenza e instabilità in Medio Oriente.

Gli Stati Uniti sono in una posizione simile, specialmente dopo il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca. Assieme ad Israele, la Turchia è uno dei principali alleati americani in Medio Oriente ed Erdogan ha abbandonato da tempo le sue precedenti simpatie per la Russia e l’Iran. Non solo Washington non ha detto nulla su quanto sta accadendo, ma Elon Musk ha sospeso i profili su X (ex Twitter) dei capi dell’opposizione turca.

Erdogan sembra quindi puntare di poter resistere più a lungo dei dimostranti grazie all’indifferenza della comunità internazionale. La polizia turca ha già arrestato centinaia di manifestanti e il controllo sui media permette al governo turco di manipolare l’opinione dei cittadini che non hanno accesso a social media. Il suo Partito della Giustizia e dello Sviluppo controlla inoltre la maggior parte dei seggi nel parlamento turco, eliminando così ogni possibile ostacolo per le sue iniziative.

A questo punto, sembra che nulla impedirà ad Erdogan di indebolire ulteriormente i suoi oppositori politici e incrementare i suoi poteri. Dopo aver trasformato la Turchia in una repubblica presidenziale nel 2017, Erdogan ha anche abolito il numero di mandati presidenziali per cui un politico può candidarsi. L’uomo si trova attualmente al suo terzo mandato e nonostante le sue promesse molti in Turchia sospettano che ne voglia ottenere un quarto.

Raffaele Gaggioli

 

La foto è da depositphotos.

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