C’è un momento, nella carriera di alcuni artisti, in cui la parola “interpretare” non basta più. Non si tratta solo di dare vita a un personaggio, ma di attraversarlo, di lasciarsi abitare da ciò che resta in ombra, di colmare i vuoti con la propria verità. È questo lo spirito con cui Monica Guerritore è salita oggi sul palco del Teatro Petruzzelli di Bari, ospite del Bif&st, per condividere con il pubblico l’annuncio del suo esordio alla regia: un film dedicato ad Anna Magnani.
Non un semplice omaggio, ma un dialogo a distanza, un incontro tra due esistenze che si sfiorano, separate dal tempo ma vicine per vocazione. A fare da cornice, una masterclass intensa e partecipata, aperta dalla proiezione di una puntata della serie Inganno, in cui Guerritore è protagonista. Un successo internazionale – tra le produzioni italiane più viste su Netflix – che diventa trampolino per rivelare un progetto coltivato a lungo e profondamente sentito.
Il film, le cui riprese inizieranno il 26 aprile, prende avvio da una notte simbolica: quella del 21 marzo 1956, mentre Magnani attende a Los Angeles la notizia della sua vittoria all’Oscar. Ma non è l’evento storico a interessare Guerritore, quanto il silenzio che lo circonda, le domande che restano sospese. Cosa avvenne davvero dopo? Quali ferite, quali attese, quali ricordi accompagnavano l’attrice in quel momento?
In quella notte si annida l’incipit di una storia che non vuole essere biografica, né cronachistica. È un’indagine sull’invisibile, su ciò che resta fuori campo. Guerritore parla della “materia umana” condivisa con Magnani, di una somiglianza interiore che ha preso forma già ai tempi de La lupa, portata in scena con forza e passione. Da allora, confida, è iniziato un percorso sommerso che oggi emerge come necessità creativa.
La scelta di debuttare dietro la macchina da presa arriva dopo anni di lavoro sul testo, svolto in collaborazione con Andrea Purgatori, a cui il film sarà dedicato. Un compagno di scrittura e di visione, venuto a mancare troppo presto. “Si è messo accanto a me – ha raccontato Guerritore – e mi ha aiutato a scavare. Questo film è anche suo”.
Nel cuore del racconto, non ci sarà solo Magnani attrice, ma la donna che si nascondeva dietro i riflettori. L’amore bruciante per Rossellini, la maternità vissuta tra i set, il bisogno quasi fisico di autenticità nei ruoli interpretati. Guerritore immagina un confronto tra la realtà e la finzione, dove l’una si nutre dell’altra. “Non si sa quanto lei mettesse dentro i personaggi quello che viveva. Eppure è da lì che bisogna partire”, ha detto.
Non mancheranno momenti di libera interpretazione, quasi sussurri tra autrici, come quando Guerritore fa dire alla sua Magnani: “I diritti di Mamma Roma sono miei”. Una frase che non troverà riscontro nei documenti ufficiali, ma che risuona vera, perché coerente con la forza e la lucidità di quella figura.
Il pubblico del Petruzzelli ha ascoltato in silenzio, lasciandosi attraversare da un racconto che, più che cinema, sembra già un atto d’amore. Lo stesso amore che, questa sera, verrà celebrato con il conferimento a Monica Guerritore del Premio Bif&st Arte del Cinema. Un riconoscimento che arriva al momento giusto, quando il mestiere dell’attrice si fa racconto, e il racconto si fa regia.
Massimo Longo