Ben 335 italiani, radunati alle Fosse Ardeatine, furono trucidati il 24 marzo del ’44 dalle truppe di occupazione tedesca. Fu il prezzo da pagare per l’attentato partigiano di via Rasella
Raccontare si può, ricordare si deve, quando la storia viene scritta col sangue. E se la storia può insegnare qualcosa, allora è bene leggere anche quelle verità, talvolta troppo scomode, talvolta offuscate dal silenzio. Silenzio che non può cancellare le pagine più buie di un passato che incombe anche sul presente, quando l’uomo dimentica l’altro e uccide. Quando ancora incombe il macabro spettro della guerra
Potremmo dire che la rabbia tedesca per il tradimento italiano motivava simili rappresaglie? Assolutamente no e l’eccidio delle Fosse Ardeatine è una delle pagine più buie della storia di quei tempi.
La causa dell’eccidio
Il 23 marzo del 1944, proprio in concomitanza del 25° anniversario della fondazione del Partito Fascista, diversi partigiani fecero esplodere un ordigno in via Rasella, a Roma, al passaggio di una colonna di militari tedeschi.
Nell’attentato morirono sul colpo ben 28 soldati tedeschi. Molti furono i feriti, alcuni in condizioni gravi che morirono successivamente. Il bilancio fu di 42 vittime. Molti i feriti anche tra i civili italiani che passavano di lì, ignari di quanto stesse per accadere.
La reazione tedesca
Nella sera di quello stesso giorno giunse una proposta di rappresaglia terribile, ad opera del tenente colonnello Herbert Kappler, Comandante della Polizia tedesca e dei Servizi di Sicurezza, di stanza a Roma, nonché del generale Kurt Malzer. Fucilare dieci italiani per ogni soldato tedesco ucciso dai partigiani. Le vittime avrebbero dovuto essere selezionate tra i condannati a morte già detenuti nelle carceri gestite dai tedeschi.
La proposta ottenne l’immediata approvazione dei vertici del comando tedesco, nonché di Hitler, venuto a più miti consigli dopo la rabbia iniziale.
Sembra infatti che il Furer, avuta notizia dell’attacco partigiano, avesse ordinato la completa distruzione di Roma
Il 24 marzo
Il giorno successivo, 24 marzo 1944, si passò all’esecuzione della rappresaglia. I militari tedeschi, sotto il comando del capitano delle SS Erich Priebke e del capitano Karl Hass, con fatica radunarono 335 civili, tutti uomini, alla periferia di Roma, presso quelle grotte artificiali, un tempo sede di catacombe cristiane, denominate Fosse Ardeatine. Un posto sicuro che garantiva il segreto dell’esecuzione e la possibilità di occultare i cadaveri.
Ma sorse un problema rilevante. Il numero dei condannati a morte detenuti non copriva il numero delle vittime richieste dalla rappresaglia, che avrebbe dovuto essere 330 , e non 335.
Fu così che i due comandanti decisero di includere nella lista anche altri, detenuti per motivi politici, o semplicemente sospettati di far parte delle forze partigiane. A questi aggiunsero anche 75 prigionieri ebrei.
Il totale, comunque, fu ancora insufficiente e, conseguentemente, furono catturati anche alcuni civili che passavano per caso per le vie di Roma. Tra questi anche un ragazzo di soli 15 anni.
L’esecuzione
Le vittime furono fatte inginocchiare, con le mani debitamente legate dietro la schiena, in numero di 5 per volta e, per risparmiare tempo e munizioni, i militari tedeschi spararono a distanza ravvicinata, colpendoli alla nuca.
L’ingente mole dei cadaveri fu occultata con la chiusura immediata delle fosse e, successivamente, fu fatto saltare dell’esplosivo per scrivere definitivamente la parola morte su qualche barlume di vita.
Ricordare fa male
Ricordare, di certo, fa male, ma ricordare si deve per imparare dalla storia
E, oggi, 24 marzo 2025, il ricordo ancora scolpito lì, in quei luoghi del massacro, rimarrà indelebilmente scolpito nei cuori e nelle menti di ciascuno di noi. Per sempre, anche nei cuori di coloro che verranno.