Aurelio Ambrogio, venerato come santo e passato alla Storia semplicemente come Sant’Ambrogio(330? – 397 d.C.), non è celebrato solo come patrono della città di Milano, assieme a San Galdino e Carlo Borromeo, città cardine d’Italia di cui fu vescovo e politico dal 374 sino alla morte, dove è sepolto e nella quale è presente la basilica a lui dedicata che ne conserva le spoglie(Basilica di Sant’Ambrogio). Ambrogio è una figura ecclesiastica poliedrica perché ha saputo coniugare l’impegno ecclesiale ad una fervida ed energica attività politica, in un’epoca, quella immediatamente antecedente la discesa verso l’alto medioevo, in cui il potere religioso e il potere politico erano fortemente legati.

Sant’Ambrogio è una figura d’indubbia creatività ecclesiastica e liturgica nell’ambito della storia dei grandi Padri della Chiesa Cristiana. Il patrono di Milano il cui spirito è ancora vivace ed energizzante per i fedeli milanesi e non, nel pieno del XXI secolo, ha elargito un pensiero religioso profondo ma la sua fama è assai legata alla sua produzione dottrinale e innologica: una delle opere più note e significative del vescovo di Milano è la raccolta ricordata e passata alla storia come Inni di Ambrogio, per la quale egli passa, in Occidente, come il padre dell’innologia popolare ecclesiastica. In realtà, Ambrogio fu preceduto, in questo, da Sant’Ilario di Poitiers che, probabilmente ispirandosi al canto ecclesiastico greco da lui conosciuto durante il suo esilio, aveva composto dei canti religiosi.

Un tentativo che non ebbe fortuna. Ben diversa e coronata da un lascito più importante è l’attività, in questo campo, di sant’Ambrogio il quale, con i suoi inni, ha realmente creato un elemento essenziale della liturgia occidentale. Di particolare interesse anche le circostanze storiche che suggerirono al vescovo di Milano di introdurre il canto durante le funzioni ecclesiastiche, circostanze che costituiscono uno dei più singolari episodi della lotta dell’ortodossia contro il tentativo imperiale di imporre, manu militari, l’arianesimo in Occidente.

Siamo nella settimana precedente la Pasqua del 386. L’imperatrice Giustina, onnipotente alla corte del figlio Valentiniano, aveva ordinato che la basilica Porzia, collocata fuori dalle mura di Milano, fosse consegnata, per l’esercizio separato del culto, agli Ariani e, per essi, al loro vescovo Aussenzio. Ambrogio si era energicamente rifiutato e, per impedire un atto di violenza, aveva fatto occupare la basilica e i suoi immediati dintorni dalla massa dei suoi fedeli, rimanendo lui stesso tra loro, ben deciso a subire un assedio in regola piuttosto che consegnare la basilica. Quasi a tener desto l’entusiasmo dei suoi fedeli, giorno e notte stazionanti in basilica, sant’Ambrogio ebbe allora l’idea di comporre degli Inni Sacri per farli cantare e declamare in coro. Il fatto insolito del canto associato costituiva per il cristianesimo latino una singolare novità liturgica e dava altresì ai fedeli della città di Milano un facile strumento di lotta contro gli Ariani giacchè negli inni era espressa, in formule anche poeticamente efficaci, la fede ortodossa nella Trinità.

Ambrogio stesso fu ben consapevole della grande efficacia di questo singolare strumento propagandistico: “Che cosa di più potente di questa confessione della Trinità, celebrata ogni giorno dalle bocche di tutti il popolo di Milano? Tutti si studiano a gara di affermare la loro fede, tutti hanno imparato a celebrare nei versi la divinità del Padre, del Figlio, dello Spirito Santo”.

Gli Ariani stessi rimasero sconcertati: non potendo far altro, andarono dicendo che con le sue poesie Ambrogio ingannava il popolo. Ma l’uso degli inni, di quelle poesie sacrali rimase ormai consegnato alla tradizione liturgica occidentale. Afferma il biografo di Ambrogio, Paolino: “Da quel tempo nella Chiesa di Milano cominciarono a celebrarsi regolarmente antifone, inni e vigilie; da allora questa devozione rimase e si affermò non solo nella stessa chiesa di Milano, ma si diffuse in quasi tutte le province dell’Occidente”.

Dei molto inni che ci sono pervenuti sotto il nome di Sant’Ambrogio, solo quattro sono sicuramente autentici:

  • Dio creatore di ogni cosa(Deus creator omnium), un inno di ringraziamento per il giorno trascorso e per invocare da Dio la protezione e la preservazione dal peccato durante la notte che si approssima; fu composto circa il 386 al più tardi: è lo stesso inno intonato da Ambrogio la sera dei funerali di sua madre Monica.
  • Eterno fondatore delle cose”(Aeterne rerum conditor), inno stupendo che saluta il giorno sorgente e trae auspici dal primo canto del gallo.
  • Già sorge l’ora terza” (Iam surgit ora tertia), canta la morte del Signore crocifisso, secondo il Vangelo di Marco, appunto nell’ora terza del giorno.
  • Ascolta, tu che governi Israele”(Intende, qui regis Israel), è un canto natalizio commemorante l’incarnazione di Gesù. Questo inno ha un contenuto dogmatico ed è chiaramente ispirato alla polemica contro gli Ariani.

Gli inni sono da cantare generalmente a cori alternati: i versi sono metrici, costruiti cioè secondo il principio della quantità delle sillabe, e non ritmici, secondo la misura dell’accento delle sillabe stesse, sebbene spesso, e non a caso, l’accento tonico e l’ictus del verso coincidano. Il metro preferito è un tipo di dimetro giambico acatalettico d’intonazione popolare che, appunto perché usato da sant’Ambrogio, divenne il metro per eccellenza della lirica religiosa medioevale e, con l’esametro e il distico elegiaco, uno dei metri più noti della poesia latina nei secoli del Medioevo.

Va ricordato qui il più famoso inno ecclesiastico latino, attribuito spesso ad Ambrogio: il Te Deum che sarebbe stato intonato da sant’Ambrogio il giorno del battesimo di Sant’Agostino, a Milano (24 aprile 387): un particolare interessante di questo celebre inno è che alla prima strofa intonata, improvvisando, da Ambrogio, avrebbe risposto con la seconda, sempre improvvisando, Agostino. In realtà il Te Deum non è ambrosiano e con tutta probabilità è opera di Niceta, vescovo di Remesiana, l’odierna Palanka presso Nisch nella Dacia inferiore, vissuto nei primi anni del V secolo, anni dopo la scomparsa del grande vescovo incantatore di Milano.

Dott. Yari Lepre Marrani