Negli ultimi anni, Taranto si è trovata al centro di un intenso dibattito politico, i motivi più vari spaziano dalle sfide economiche, sociali e ambientali che hanno influenzato la vita dei cittadini tarantini. La città, tristemente nota per la sua industria, fortemente inquinante, il suo porto, con le vicissitudini che lo contraddistinguono, si raffronta con la necessità di un equilibrio tra sviluppo economico e sostenibilità ambientale.

Le questioni legate alla ex Ilva, ancor’oggi senza padroni, non fanno dimenticare i problemi legati all’inquinamento ed ai relativi danni sanitari. La storia dell’industria a Taranto si chiama, inizialmente Italsider, fondata nel 1965 come gruppo Finsider, prima grande acciaieria d’Italia, seguita da Finsider holding pubblica per l’industria siderurgica italiana.

Seguirà poi la privatizzazione, nel 1995, sotto il controllo di un’azienda privata: il gruppo di Emilio Riva acquista lo stabilimento Italsider al prezzo di 1.400 miliardi,  quando il suo valore reale è di 4.000 miliardi, e lo gestisce fino al 2012, forse la politica ha messo la sua manina nella valutazione dell’impianto. Successivamente lo stabilimento va in amministrazione straordinaria per problemi ambientali e finanziari, a questo punto subentra Arcelor Mittal, dopo il fallimento dell’azienda.

Il programma di Arcelor Mittal, multinazionale indiana, colosso mondiale operante nel settore dell’acciaio, nato dalla fusione tra Arcelor e Mittal Steel, prevedeva un piano ambientale per ridurre l’impatto inquinante dell’impianto, per migliorare la salute e la sicurezza dei lavoratori e dei cittadini, fortemente penalizzati dagli scarichi industriali, limitrofi ad uno dei quartieri della città, i Tamburi, non escludendo altre zone, e persino alcuni centri più lontani della provincia jonica e barese.

Gli effetti devastanti del benzene, delle polveri sottili PM 2, producono un rischio inaccettabile, per gli sviluppi cancerogeni di tumori al polmone e del mesotelioma, fatti derivanti dalla mancata ambientalizzazione degli impianti, e dai ripetuti decreti salva Ilva che a partire dal 2010 sono stati ben sedici; questa sorta di scudo penale è giustificato, a livello politico, dal fatto che la sopravvivenza dello stabilimento deve essere garantita perché “ Impianto di interesse strategico nazionale

“Una perizia chimica, riporta cosa fosse stato emesso nell’aria l’anno 2010, la perizia è riportata nella tabella A-1, senza voler fare degli inutili allarmismi, questi sono i dati, fonte Wikipedia.

4.159.300    Kg.   di polveri sottili                                                                                                                                         11.056.900  Kg     di diossido d’azoto                                                                                                                                       11.343.200  Kg     di anidride solforosa

 

 

Più altri prodotti emessi durante lo ( slopping ) la nube rossastra che si vede sullo stabilimento, quando c’è la fuoriuscita di gas.Nel 2012, il sequestro da parte della Magistratura, senza facoltà d’uso, lasciava ben sperare in una ambientalizzazione che mettesse in primo piano la salute dei lavoratori e dei cittadini, considerando che dal 2006 al 2017, si sono registrati 1441 casi di neoplasie infantili, sul tutto il territorio. Da allora otto governi si sono succeduti, ma poco è cambiato; per quanto riguarda la salute ed il lavoro. Il ricattto  “ Salute o lavoro “ è stato male interpretato, l’Organizzazione mondiale della sanità, specifica cosa si intende sulla salute sul lavoro, e sulla sicurezza, come prevenzione primaria dei pericoli a cui il lavoratore è esposto.

A maggio 2023,il Sindaco di Taranto, Rinaldo Melucci, fece un’ordinanza che imponeva ad Acciaierie d’Italia di ridurre in 30 giorni le emissioni di benzene: l’ordinanza non fu mai applicata.

Dopo la transizione ecologica del 2022/2023, la questione occupazionale è rimasta centrale, con grandi preoccupazioni sul futuro dei lavoratori per i quali, il 4 marzo è stata approvata la nuova cassa integrazione che interesserà 4050 persone. Dopo tante voci che si sono rincorse nei corridoi del Ministero dell’Ambiente, forse siamo ad una svolta sulla cessione dello stabilimento ex Ilva.

Tre sarebbero i gruppi che hanno manifestato interesse all’acquisizione, la cordata Baku Steel Company CJSC + Azerbaijan Investment Company Ojsc, la Bedrok Industries Management CO Jindal Steel International, oltre a queste offerte per tutti i gruppi aziendali, si aggiungono altre sette offerte interessate ai singoli asset aziendali.

Il termine ultimo, per la presentazione delle offerte di interesse all’acquisto della ex Ilva, era fissato per il 14 marzo, ma è slittato di un’altra settimana, con un nuovo quadro di aziende in competizione per l’acquisizione della stessa. La Azerbaijan Baku Steel Company e l’indiana Jndal e Bedrok Industries, sarebbero quelle più accreditate per gli investimenti proposti, per le garanzie occupazionali, e per il piano di sostenibilità, la Baku è la più vicina al traguardo.

Da parte del Governo ci sarebbe un interessamento al mantenimento di una parte pubblica di minoranza, come garanzia per l’occupazione, e la tanto annunciata decarbonizzazione dell’impianto, la quota sarebbe inferiore al 38%.  Cosa si aspettano i cittadini tarantini, che sono anche i lavoratori dell’industria siderurgica, che ci sia più attenzione alla salute pubblica ed alla qualità della vita dei dipendenti della azienda, Taranto chiede più rispetto per i suoi cittadini.