Il romanzo di Ugolini si inserisce nella tradizione letteraria che esplora il mondo del circo, dei girovaghi e degli artisti di strada, affrontando temi tipici del realismo narrativo come ipocrisia, grettezza e incapacità di raggiungere la felicità.
Il protagonista, Anselmo, fugge da una vita misera di straccivendolo e si unisce a una compagnia itinerante guidata dal funambolo Dùcor, un personaggio violento e dominante, succube però della seducente Lisalka. Accanto a loro, il clown Filippo, ossessionato dal moto perpetuo, e sua moglie Teresa, malata e priva di cure, incarnano la miseria e la disperazione della vita nomade.
Il romanzo non ha una trama d’azione, ma si sviluppa attraverso episodi di vita quotidiana e dialoghi vividi, come la discussione tra operai e anziani in un’osteria sul presunto “trucco” del funambolo. Il racconto oscilla tra farsa e dramma, fino a un finale tragico segnato dalla fame, dalla disperazione e dall’indifferenza per un futuro inesistente.
Biografia
Amedeo Ugolini (1896-1954) nacque a Costantinopoli in una famiglia di origini romagnole. Dopo un’infanzia poco documentata in Turchia, rientrò in Italia per il servizio militare e combatté nella Prima Guerra Mondiale. Stabilitosi a Bologna, si sposò con Cesira Stamura e visse in difficili condizioni economiche.
Nel 1922 fondò la rivista “L’Accigliata” e assistette alle violenze squadriste, maturando un forte antifascismo.
Trasferitosi a Chiavari nel 1927, entrò negli ambienti intellettuali e pubblicò il romanzo Il carro dei folli (1929), anticipando il realismo narrativo.
Nel 1937 aderì al Partito Comunista e, anziché combattere nella Guerra di Spagna, fu inviato a Parigi per lavorare nel giornale clandestino “La Voce degli Italiani”, firmandosi con pseudonimi. Nel 1942 fu arrestato dalla Gestapo, incarcerato in Italia e liberato nel 1943.
Partecipò attivamente alla Resistenza, rappresentando il PCI nel CLN ligure e poi in quello piemontese, dove si distinse per le sue doti di mediazione. Dopo la Liberazione, assunse incarichi politici e giornalistici, diventando direttore dell’edizione piemontese de “L’Unità”, collaborando con intellettuali come Pavese, Calvino e Vittorini. Tuttavia, contrasti interni al PCI e la sua vita privata lo portarono a un incarico a Mosca e poi a Praga. Continuò a scrivere, vincendo premi letterari.
Morì nel 1954 a Torino. Viene ricordato per il suo impegno politico, giornalistico e letterario, con strade a lui intitolate a Torino e Chiavari.
La Rete