Con la nostra autrice entriamo nel mondo della poesia, in quell’arte letteraria che dovrebbe essere la prima fase della formazione letteraria di uno scrittore.

Perché la poesia è un modo essenziale e al tempo profondo di leggere la realtà attraverso lo sguardo dell’anima.

Figlia di un conte di origine armene, nasce a Padova nel 1855. Morirà a Roma nel 1910. Formatasi grazie a Giacomo Zanella per 15 anni ebbe anche, tra gli amici che frequentavano la sua casa il romanziere Antonio Fogazzaro.

Il nome della poetessa è fortemente legato a Padova nonostante i vari spostamenti tra Venezia e Napoli. Molto legata al padre conobbe il vuoto alla sua morte. La sua è una continua ricerca di confronto con i poeti del suo tempo, anche stranieri. Come Domenico Gnoli, che dirigeva una rivista che l’aiuto a pubblicare.

Molto presente in quella regione il suo nome legato anche a premi letterali e associazioni.

Mantenne per lunghi anni rapporti epistolari con i pad

La poetessa della Belle Epoque

ri mechitaristi dell’Isola di San Lazzaro (o Isola degli Armeni, a Venezia) con cui suo padre, profondamente religioso, aveva stretto relazioni di amicizia. A questo periodo risale gran parte del suo carteggio epistolare, che testimonia della sua vivace attività intellettuale, insieme alle liriche pubblicate su varie riviste letterarie.

La sua è una lirica legata all’incomunicabilità, desiderio di morte e di potenza, di libertà dalle regole e costrizioni del vivere civile. Leggete la poesia posta alla fine dell’articolo. Una pennellata di colori forti dell’anima alla ricerca dell’amore, rispondono la luna, le stelle, l’aurora, le nubi, una poesia circolare del ciclo della notte.

Il libro “Leggenda Eterna”.  che presentiamo oggi è del 1900. Lo scrive a quarantacinque anni nonostante fosse stata precocissima nello scrivere; la sua natura perfezionista e ambiziosa la indusse a mostrare le sue poesie solo nella cerchia di conoscenti e amici, sollecitando il parere di insigni letterati dell’epoca, con i quali manteneva corrispondenza.

Di tanto in tanto sue liriche erano pubblicate su riviste letterarie, riscuotendo ammirazione e dandole una fama di poetessa aristocratica e riservata cui Vittoria teneva molto.

Considerata da Benedetto Croce, che riteneva che “Il canzoniere” fosse Il più bello che sia mai stato composto da donna italiana, una scrittrice spontanea e fresca (La letteratura della nuova Italia), Vittoria Aganoor fu per lunghi anni reputata tale dalla critica letteraria, fino agli anni ’70, quando la sua opera venne rivalutata anche alla luce di un’edizione parziale delle sue lettere: Vittoria aveva sempre rifiutato l’immagine di poetessa immediata e spontanea e dichiarava di scrivere “di testa” e non con il cuore. Infatti, le sue liriche sono pienamente inserite nelle correnti letterarie del suo tempo, e mostrano richiami a Gabriele D’Annunzio, ai Crepuscolari, all’amato Giacomo Leopardi, e agli amici Nencioni e Domenico Gnoli.

Abbiamo parlato di incomunicabilità ecco il garbo di una poetessa

IL CANTO DEL DUBBIO

Tace nella notturna estasi il cielo:

come d’oblìo profondo

in un magico avvolto immenso velo

cade nel sonno il mondo.

— O luna! apporti al core, che le aspetta,

le soavi novelle?

Ancor m’ama? — Risponde: — È tardi, ho fretta:

domandalo a le stelle. —

Da le stelle qualcun par che mi guardi

pietoso… — Oh dite! ancora

m’ama? — E gli astri rispondono: — È già tardi,

domandalo all’aurora. —

Mesta l’aurora ecco dal mar salire

velata insino ai piedi.

— M’ama? — Chiedo. Risponde: — Io nol so dire;

alle nubi lo chiedi. —

E delle nubi alla crescente notte

ecco il mio grido suona.

Rispondono con lagrime dirotte:

— Povero cor!… Perdona! —

Volete deliziarvi scaricate il libro

La Rete

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