(ACON) TRIESTE – Il Garante dei diritti della persona della Regione Friuli Venezia Giulia, Enrico Sbriglia, assieme a Piero Mauro Zanin, già presidente del Consiglio regionale, e ad Anna Malisani del Partito Radicale, hanno effettuato una visita alla casa circondariale “Ernesto Mari” di Trieste, al fine di conoscerne meglio le criticità. Lo si legge in una nota del Garante.

Accolta dalla direttrice in missione, che è direttore titolare della casa circondariale di Gorizia, Caterina Leva, dalla comandante Annamaria Peragine e dagli altri operatori, la delegazione ha constatato come fossero in corso importanti lavori di risistemazione interna degli spazi detentivi.

Com’è noto, nel luglio scorso c’era stata una protesta violenta da parte delle persone detenute che aveva portato a devastazioni
di ambienti e attrezzature, in particolare negli spazi dove era presente l’infermeria; a seguito degli eventi, si registrò anche
la morte di un detenuto.

Prontamente il direttore titolare del carcere, Graziano Pujia, ora assente per ferie, ha però avviato tutti gli interventi di
risanamento nonché di una migliore utilizzazione degli spazi. Percorrendo le sezioni dell’istituto, infatti, si poteva rilevare
come esso apparisse un febbrile diffuso cantiere, nonostante la compresenza delle persone detenute.

Nello studio del direttore c’è stata poi una riunione con i responsabili dei diversi servizi gestiti in carcere, grazie ai quali sono emerse le maggiori criticità che abbisognano di urgenti iniziative da parte della Regione. Esse, sostanzialmente, sono riferite al servizio sanitario: si rileva il bisogno del rafforzamento dello stesso, nonché di rendere più attrattivo il lavoro degli infermieri e dei medici in carcere.
Franca Masala, responsabile del servizio sanitario in carcere, forte anche della sua esperienza sul campo, sottolineava tali
strategiche esigenze condivise da tutti.

Il Garante ha convenuto pienamente al riguardo, ricordando come fosse stato importante il lavoro degli operatori sanitari durante
il periodo dell’emergenza Covid, ma nonostante il loro impegno, poco rispetto alle aspettative si era poi realizzato a favore
degli stessi in termini di riconoscimenti concreti, anche di natura economico-contrattuale: “Pure tale circostanza, infatti,
rende il lavoro della sanità penitenziaria demotivante, inducendo gli operatori sanitari a preferire altri ambiti lavorativi,
compresi quelli della sanità privata”.

“È perciò importante – si legge ancora nella nota del garante Sbriglia – che la Regione, che ha competenza esclusiva in
medicina penitenziaria, a seguito del passaggio intervenuto anni addietro dallo Stato alle Regioni, forte anche della propria
autonomia, compia uno scatto in avanti, addirittura sperimentando modelli organizzativi più confacenti alle esigenze del mondo
penitenziario, anche sfruttando al massimo le nuove tecnologie, ivi comprese quelle della telemedicina”.

Per quanto, infatti, non si potrà mai prescindere dall’assicurare nelle carceri un continuo presidio “in presenza” di medici e
infermieri all’interno delle strutture penitenziarie, pure al fine di un maggior contenimento delle spese sanitarie, “non
sfuggirà che ricorrendo all’esterno solo quando fosse davvero necessario si eviterebbe l’eccessiva occupazione di posti letto
negli ospedali e/o l’intasarsi pericoloso dei pronto-soccorso”.

L’auspicio, per il Garante, è che si pervenga a una migliore caratterizzazione amministrativa della medicina penitenziaria,
pure al fine di avere una “regia” unica dei servizi sanitari nelle cinque carceri della regione dove invece, e questo
rappresenta un evidente segno di criticità, risulta assicurato un servizio diverso in ogni struttura, determinando una
ingiustificata disparità di trattamento che potrebbe esporre a ulteriori censure e rischi la stessa Amministrazione regionale.
“Il Garante, al riguardo, confida nell’impegno che certamente ci sarà da parte dell’assessore alla Salute Riccardo Riccardi”.

Altra criticità osservata è quella riferita “alla carenza di copertura di psicologi nella struttura triestina, in quanto i professionisti in questione sono pagati, in questo caso dal ministero della Giustizia, ad ore, con corrispettivi economici assolutamente inadeguati. È stato riferito che non solo verrà ridotto il numero delle ore, già insufficiente, ma anche quello delle unità impiegate. Questo a partire dal prossimo mese di gennaio”.

Si comprenderà, pertanto, come tale circostanza rappresenti un pericolosissimo vulnus per la gestione delle persone detenute le
quali, interrelazionandosi con lo psicologo, possono trarne importanti benefici che si riflettono sulle condotte personali,
favorendo il calo di pulsioni suicidarie, la migliore comprensione delle proprie condotte antisociali, l’aggressività e via dicendo.

Il Garante ha inoltre rimarcato la circostanza che pur trattandosi, quella penitenziaria, di una sola grande comunità, essa è contraddistinta da più famiglie: quella delle persone detenute e l’altra delle persone detenenti, ma identico è il tetto sopra le loro teste. A sua volta, la famiglia dei detenenti è essa stessa costituita da più sottocomunità: quella del personale della polizia penitenziaria, del personale specialistico e amministrativo del Dap, della Sanità, del mondo della scuola, della formazione professionale, del volontariato…
Realtà finalizzate a realizzare il bene della sicurezza. Una sicurezza che deve sapere guardare e sollevare le persone, giammai piegarle, stritolarle e annichilirle.

“Nel corso dei colloqui con gli operatori penitenziari – aggiunge il Garante – si è pure parlato dell’importanza di consentire alle
persone ristrette di coltivare le proprie fedi religiose improntate al rispetto degli altri. Il padre gesuita Silvio Alaimo, storico cappellano del carcere, ha poi portato la delegazione a visitare la locale cappella, non mancando di sottolineare come essa venga ‘rispettata’ da tutti i detenuti presenti in carcere, perché luogo di conciliazione e di ripensamento, a prescindere dalle fedi professate dagli stessi”.

La coincidenza del termine di un corso di pasticceria a favore delle persone detenute di sesso femminile ha consentito al
Garante e alla delegazione in visita, prima di congedarsi dalla struttura carceraria, di assaggiare alcuni dolciumi: “Si percepiva – conclude la nota – il sapore dell’impegno di chi è alla ricerca di una seconda chances: anche in questo modo si fa sicurezza, però permanente”.

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