«La cosa che ci si arrangia a definire in molti modi, limitata e piena di quel che è, è, e non è. E anela, e anelano, al nulla».

Vita è partecipazione della morte?

Nella fenomenologia della mente umana, i neuroni cardiaci rappresentano non solo un “cuore che pensa”, ma un centro sensibile e profondo del nostro vivere, che risuona con la finitudine dell’esistenza stessa. Si tratta di un “pensiero” che non pensa, una risposta che pulsa attraverso il corpo per ricordarci l’ineluttabilità della nostra caducità. La mente, anche erroneamente intesa scissa dai suoi luoghi di espressione fisici, tende a ignorare ciò che la riconduce all’essere mortale, a motivo della tossicità del sociale, proprio come un pesce che non vede l’acqua in cui nuota.

La cosiddetta vita potrebbe essere intesa come un campo di sperimentazione della morte, un’esistenza che ci vede “già morti” in un’illusoria rappresentazione. Chiamiamo vita quella che è, in fondo, la partecipazione alla nostra morte, a una fine che si svolge in continuum sotto le vesti di nuovi inizi, successi e perdite. L’essere che “non è” si identifica nella lotta stessa della propria “esistenza”, una battaglia già persa ma che, per inganno o gioco, continua a ripetersi.

Nelle nostre “scoperte” psicologiche, cominciamo a capire quanto l’esistenza non sia compatibile con la vita come viene comunemente intesa: un’impresa, una scalata, un successo da ottenere o una serie di cose (oggi prodotti) da creare, spesso incarnati in figli, opere o progetti destinati a estendere un’esistenza che già sfugge. Siamo così portati a un pensiero che costruisce catene piuttosto che liberazioni, invitando costantemente la morte sotto il nome di “nuova vita” e giustificando ogni azione come un nuovo passo verso un futuro privo di radici e fondamento.

La caduta nel mondo si manifesta come un radicarsi nell’impossibile, un aderire a una forma di “vita” che è, in effetti, morte continua. Produciamo senza tregua, figli e sogni che si trasformano in spettri di aspettative, oggetti di un egoismo che possiamo chiamare una “psicologia negativa”. Fantasmi, sopravvissuti ai sopravviventi. Questa psicologia egoistica non osserva, non comprende, ma impone, allontanandoci dal senso autentico del nostro essere.

Gli individui, chiamati a rinnovare costantemente la propria presenza nel mondo, si trasformano così in schiavi di una realtà prodotta, senza mai raggiungere una “essenza” che rimane sfuggente, poiché la vera vita non può essere ingabbiata nelle strutture che creiamo per anestetizzare l’angoscia dell’ignoto.

I neuroni cardiaci, che percepiamo quasi inconsapevolmente, sono la connessione con una realtà che resta inascoltata, un linguaggio che parla della fine sin dall’inizio, di un battito che anticipa l’ultima pulsazione. Questa “psicologia del cuore” rappresenta, nella sua intimità e vulnerabilità, il contrasto tra il senso del vivere e l’essere nel mondo. Ci invita a una consapevolezza differente, un ricordare che ciò che costruiamo come “vita” non è che una maschera della fine, un modo di evitare la riflessione sulla natura ultima del nostro “esserci.”

Comprendere la vita come parte della morte è un atto rivoluzionario, noi sosteniamo. Accettare che il vivere sia morire – un’esperienza di finitudine più che di permanenza – ci può liberare dall’illusione della creazione come realizzazione. Questo approccio fenomenologico suggerisce una nuova strada: non più costruire e produrre, ma semplicemente essere, accettando la nostra posizione fragile nel mondo.

Abbiamo bisogno di una psicologia che non alimenti l’ego, ma che liberi dal desiderio di moltiplicare prodotti e possedimenti. Una psicologia che non veda nell’altro un’estensione di sé, ma un’entità libera, sciolta, separata, nel rispetto dell’altro da sé, quale cosa uno, uno cosa, verso il nulla. Attraverso un ascolto autentico dei neuroni cardiaci, potremmo infine scoprire che esistere significa riconoscere la propria inadeguatezza e finitudine, e che non vi è crescita se non nel percepire questa verità “nascosta”.

PsykoSapiens, counselor psicosociale