di Raffaele Gaggioli

La fine del regime di Bashar Al-Assad è stata veloce, sorprendentemente non violenta e quasi imprevedibile. In meno di due settimane, uno dei più brutali dittatori mediorientali ha perso completamente il controllo del suo Paese ed è stato costretto a fuggire precipitosamente a Mosca.

Tuttavia, molti in Occidente temono che Assad sia stato sostituito da qualcuno ancora più pericoloso. Damasco ora è infatti occupata dall’ “Organizzazione per la liberazione del Levante” (Hay’at Tahrir al-Sham o HTS), una formazione armata islamista siriana precedentemente allineata con Al-Queida e l’Isis.

Sebbene Abu Muhammad al-Jawlani, leader del gruppo armato e di fatto nuovo capo politico della Siria, abbia assicurato l’Occidente di aver abbandonato le sue precedenti posizioni fondamentaliste, sia Bruxelles, sia Washington temono che la sua vittoria non farà altro che generare ancora più instabilità in Medio Oriente.

La preoccupazione principale dell’Unione Europea è che la vittoria dell’HTS possa causare l’arrivo di ulteriori rifugiati, come già successo nel 2014 a causa della Guerra Civile Siriana. Per questo motivo, molti governi europei hanno annunciato che non accetteranno altri rifugiati siriani e si sono offerti di aiutare economicamente il nuovo governo in Damasco.

Nonostante questi timori, alcuni politici americani ed europei considerano la caduta di Assad come un vantaggio per gli interessi americani ed europei nel mondo arabo. La vittoria dell’HTS in Siria ha infatti notevolmente indebolito la posizione dell’Iran e della Russia.

Sin dalla rivoluzione islamica del 1979, il regime degli Assad era stato uno dei principali alleati di Teheran nel mondo arabo. Grazie a Damasco, la repubblica islamica era stata in grado di rifornire militarmente Hezbollah in Libano e altre milizie fondamentaliste sparse per il Medio Oriente (la cosiddetta “Asse della Resistenza”). Ora, il nuovo governo siriano è controllato da un gruppo fondamentalista sciita contro cui Teheran ha combattuto per più di dieci anni.

La perdita della Siria ha tagliato fuori Teheran dal Mediterraneo, rendendo estremamente difficile sostenere militarmente Hezbollah ed Hamas, due milizie fondamentali per le ambizioni iraniane che peraltro sono già state indebolite dalla guerra contro Israele.

In maniera simile all’Iran, la fine di Assad è considerata una sconfitta militare e diplomatica anche da parte della Russia. L’alleanza con Assad aveva procurato a Mosca basi navali nel Mediterraneo ed un utile alleato con cui ampliare la sua influenza in Medio Oriente.

La fine repentina della dittatura siriana ha però dimostrato che le forze armate russe, già in difficoltà a causa del conflitto in Ucraina, sono meno efficaci di quanto affermi la propaganda del Cremlino. Inoltre, anche se l’HTS ha promesso di non attaccare le basi navali di Mosca in Siria, la Russia potrebbe essere costretta ad abbandonarle in quanto ora non può più contare sul sostegno del governo siriano per inviare i rifornimenti necessari alle sue installazioni.

Per ora, Mosca e Teheran si sono affrettate a riconoscere diplomaticamente il nuovo governo siriano nel tentativo di salvare almeno in parte la loro influenza nel mondo arabo. Tuttavia, non è ancora chiaro come la vittoria dell’HTS influenzerà la politica interna ed estera dei due Paesi.

Paradossalmente, l’indebolimento di queste due nazioni avvantaggia soprattutto la Turchia nonostante il fatto che Erdogan sia un alleato di lunga data sia di Mosca, sia di Teheran. Il sostegno militare della Turchia è stato determinante per la vittoria di al-Jawlani, al punto che Ankara è ora in grado di influenzare significativamente la politica siriana.

Le motivazioni di Erdogan per sostenere i fondamentalisti sono numerose. Prima di tutto, il Presidente turco spera che la caduta di Assad spingerà i rifugiati siriani in Turchia a tornare nel loro Paese.

In secondo luogo, la nuova influenza turca in Siria rafforza indirettamente la posizione diplomatica di Ankara in Europa. Erdogan è l’unico leader europeo ad avere contatti diretti con al-Jawlani e può esercitare abbastanza pressione sul leader siriano per dissuaderlo dall’abbandonare le posizioni moderate che ha finora promesso.

Il terzo e ultimo punto è che Erdogan vuole eliminare Rojava, uno stato curdo di fatto indipendente presente nel nord-est della Siria. L’enclave curda è finora riuscita a sopravvivere grazie alla debolezza del regime di Assad ed è anche riuscita ad espandere il suo territorio durante l’offensiva finale dell’HTS contro Damasco.

Erdogan non può accettare l’esistenza di Rojava in quanto potrebbe incoraggiare il nazionalismo e l’indipendentismo della popolazione delle regioni curde in Turchia. Per questo motivo, Erdogan starebbe facendo pressioni sia sull’HTS, sia altri gruppi filo-turchi in Siria affinché attacchino Rojava.

La Turchia non è l’unica nazione mediorientale che sta intervenendo direttamente in Siria. A seguito della fuga di Assad, anche Israele ha mobilitato le sue truppe per proteggere i suoi interessi nell’area. Oltre a bombardare installazioni militari siriane, in particolare i magazzini contenenti l’arsenale chimico di Assad, Tel Aviv ha espanso la sua area di occupazione in Golan (una regione della Siria) e ha annunciato che aumenterà il numero dei suoi coloni nella regione siriana occupata.

La dittatura di Assad è finita ma questo non significa che la Siria sia finalmente in pace.

Raffaele Gaggioli

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