Il mondo si configura con la storia che raccontiamo. Implode sulle storie negate, nel buio della vita ingannata. Se non raccontiamo le nostre vere esperienze ma mentiamo a noi stessi, non esistiamo. Pratichiamo escludendo l’esserci. In praxis, esistiamo il nulla, dentro il nulla realtà prima dell’esistere. Mi dirigo al dire che se non si attraversa l’inferno non è comprensibile ciò che non è pensabile. E non si catturerà, dentro, l’esterno interpretabile di manifestazione osservata, infera fenomenologia di percepita esperienza d’identificazione. Non si vedrà l’inutile corsa al possesso, nel fraintendimento che si vive per ignoranza. Ma che cosa è Inferno se non cosa? Che cosa è parola, se non cosa? Dialogo muove a discorso? Discorso muove a dialogo? Chi può permetterselo aprirà gli occhi. Occorre sapere per riconoscere. Inutilità del non conoscere.
L’uomo è merce, risorsa, prodotto, cosa, anche oggetto, che fugge e cerca piacere. È così, segue la via del consumo del corpo altrui, strumento per possedere i propri bisogni e soddisfare di necessità presunta i propri scopi. Son davvero propri? Si può scegliere, non decidere. Nessuno assume l’attesa dell’eterno ritorno? Proprio nessuno? È questo il tempo ove non si genera più. Si produce. Insisto nel veder soggetti. I soggetti dell’esistere del mondo quando esistono l’esserci. E non mi stancherò di farlo. Non favorisco e non assecondo gretti mercantilistici apparati sovramundi dimensionati uniformati funzionali a specie e società che sfruttano. Facciamo così breve ritorno: meretrici che piegano meretrici, chi violenta, minaccia, ricatta, inganna, abusa, rinnega. Non partecipo degli errori d’altri. Mi dissocio. Questo l’atto di volontà di dissociazione. Non mi riesce bene e buono compiacere brutture povere di senso e gorde del tempo che vive la morte dell’umanità.
Consapevole di ciò che l’uomo afferra (e non afferra) e di ciò che inconsapevole va a pensare. Due umanità, intese chiare a pochi, si direbbe pochissimi. Il granitico interpretare rispetto per la vita, per l’esistenza e per il vissuto, per ogni intima privata storia personale, con piena considerazione di fondamentale importanza, non segue – per contrario – chi fa deliberato non giustificato disprezzo del simile. Si badi, nessuna spregevole rivolta per esanime condotta, niuno dileggio, né pieno svilimento e scherno del valente. Si esalti il vero, sulla piena consapevolezza de: «Che cosa è verità?». La propriamente critica dell’essere, come pienamente sentita, crisi, con piena appercezione dell’agire per separazione, è il distinguere per sacralità attraverso misura di discernimento. Il predisporre al cambiamento è sempre eviscerato dall’inattuale.
«Certamente! Mi rendo conto, io sono l’inattuale».
Se non equivoco afferrando natura di pusillanimi carnivori di specie chi e cosa si è molto amato è per questo. È proprio per questo. In questa rapida e sempre più veloce corsa al maturato ennesimo tramonto di una incivile civiltà estinta che ancor si pensa vincente e viva. Ma apprendo che queste cose non si capiscano. La tensione produce il digrignare per natura dello stolido stupido, così fermo sull’ascoso sconosciuto per ragion di respiro, la probabilistica trasmutazione direbbe anima, giocando sulla naturale inefficienza del lymphātus. So che il mio dire è sentito e non voluto. Ma se il parlar è, perché il debole tentativo di cambiare natura o il deficere riducendo alla forma punitiva? Non è forse diseducativo? Colui che non è mente a se stesso. Colui che mente a se stesso, non è. Partecipa dell’inautentico. Esperisce esistenza inautentica. O, si direbbe, inautentica esistenza e inautentica esistenza del mondo.
L’inesistere il mondo, l’inesistere al mondo: il mentir a sé è non esistere sopravvivendo al furto dal nulla. Se non agisci per coerenza, non esisti.
Anima. Il francese antico riporta anima, aneme, anme, arme, alme. Il catalano arma, alma. Lo spagnolo e il portoghese alma. Il latino ànima, forma femminile di ànimus, congiunta etimologicamente al greco ànemos, vento. Il greco anaigma è esangue. Principio della vita in ogni essere organizzato. Quella parte che pensa e delibera. In passato si cadde, tra chi non seppero meglio esprimere, sul ricorrere all’idea di soffio, fiato, aura, quel che c’è, si avverte, ma non si vede. Il tedesco antico saiwolò si lega al greco aiòlos, agile e anche semovente. L’ebraico נֶפֶשׁ, nèfesh: sede delle necessità vitali. La persona non ha una nèfesh: l’essere umano è nèfesh e vive come nèfesh. La tradizione ellenica muta in ψυχή, psychè, da psychein, respirare, soffiare, anapneîn, respirare e anapsycho, refrigerio. Aristotele fa derivare da katápsyxis, raffreddamento. Derivati: psichico, dal greco psychikòs. Anche collo, gola, bocca, desiderio, animo, e aspirazione, domanda, brama. Si lega al sangue.
La tradizione mistica kabbalhistica (Kabbalah, ricevuta, donata, consegnata, ceduta al cosiddetto iniziato) suddivide in livelli e tratta di Shem Havaya: oltre al primo introdotto, nèfesh, vi sono רוּחַ, rùach, tradotto spirito, fino a divenire aria, il greco pnéuma (pnèo, respirare, soffiare) נְשָׁמָה, neshamàh (נְשִׁימָה, neshimah, è respiro, לִנְשֹׁם, linshòm, è respirare), חַיָּה, chayyàh e יְחִידָה, yechidàh, unità in se stessa. Il sanscrito ātman è essenza, soffio vitale, identificabile nel sūrya, sole, e derivato di brahman, sviluppo, anticamente individuato origine primordiale Tat (quello). Il tedesco moderno atmen è respirare. La cultura egizia, nel tentativo di descrivere l’essenza, riporta akh, spirito luminoso, shut, l’ombra, ren il nome che racchiude l’essenza, ba, l’energia personale, si direbbe personalità, e ka, l’energia vitale e impersonale. Ib è il cuore. Derivati: animale, animato, animare.
Nèfesh intende vita, ma siamo propensi a pensare che indichi l’esistere l’esalato; potremmo dire l’esperire la condizione di morte. Ricorda anche, difatti, l’anima dei morti. Il tal Omero si spinge a giustificare la nostra congettura. Un taccuino a questo precedente ci ha portati a osservare di una cellula lo stato proprio che non conduce alla vita. Se l’osservazione è corretta, il fraintendimento di pensiero è insito nel pensiero stesso, che può essere manipolato o sprigionare forza del suo essere, intendendo aprioristicamente in luogo di un processo d’intelletto la risposta a: «Che cosa è verità?».
La tradizione araba suddivide l’anima in sette livelli dell’essere, mutuando da antica religione iranica e filosofia ellenica, su passaggio di tribù ebraiche e cristiane in terra cosiddetta mediorientale. Se poi luoghi e tempi indicati da un calendario o da un altro siano certi, non ci è dato sapere. Tuttavia se ritrovati archeologici assumono l’influenza di interpretazione, uno scavo regala perduti (o interrati) che è quantomeno possibile geolocalizzare. Un minimo di valenza, seppur debole, andrà pur concesso, se non altro per condurre il tentativo del descrivere ciò che recepiamo concretizzate illusioni interessanti il sociale dell’individuo, il quale praticizza. L’arabo nafs è anima, da nafas, respiro. Traduciamo ruh con spirito. Nafs ammara, istigatrice e carnale, nafs lawwama, coscienziosa correttiva, nafs mulhima, ispirata ispirante ispiratrice, nafs mutma’inna, pacifica e tranquilla, nafs radiyya, abbandonata alla sorte, nafs mardiyya, divina per attributo e abbandonante materialità, nefs safiyya, pura e perfettamente armoniosa. Nell’antichità iranica adhvenak è il prototipo astrale, l’elemento seminale primo e collettivo, fravashi è preesistente alla vita, daena è l’anima escatologica.
Un collegamento balena fosse un lampo nel pensare alle molteplici descrizioni della cosa anima in questo o in quel libro, relativizzando a tipi psicologici, pella via naturalistica psicologica e, di fondo, il comune viaggio dell’eroe che il percorso attende, per una più calzante proiezione del modello monomito narratologico. Sosteniamo tuttavia un disancoraggio a posizioni generalista, assolutista, gruppale, volendo muovere a raffinata osservanza dell’unicità e singolarità della gettatezza dal nulla per essere, indivisibile all’ente. Temiamo l’utilizzo di tipi e tipologie che porterebbero velocemente a razze, e discussioni che già consideravamo nugallae, seppur d’interesse le similitudini tra i gettati nell’esistenza elettro chimica, che sospettiamo siano oltre consuete e non consuete terminologie.
Animo. Il latino riporta ànimus. L’irlandese anam, anim. Il greco ànemos, vento, soffio. La radice an vale soffiare, spirare. Il sanscrito AN-IMI(IO) è respiro, AN-AS è alito. Il gotico ANAN è alitare. UN-ST, procella (con a oscurata in u). L’antico tedesco ÖN-D, anima, vita. È lo spirito dell’uomo in quanto ha intelletto o mente, e quindi pensiero, ragione, volontà, intenzione, proponimento, coraggio. Derivato: animoso.
Ci limitiamo all’indagazione, assumendo evidenze che in passato non distinguevano anima e spirito, unificando alle volte i sottoconcetti. Tali sono tuttavia base di qualche cosa che riteniamo avvolto da oscurità. In tal senso, non sappiamo. E dunque, proprio per questo, procediamo sulle possibilità e calpestando probabilità come altri fecero e fanno, nell’intento di spostarci quanto possibile dai solchi più profondi e vuoti.
Spirito. Il latino spiritus. Il poetico spirto. Il tedesco geist (anche mente). Il rumeno spirt. Il provinciale esperitz, speritz (Spritz?). Il francese esprit. L’inglese spirit, sprite. Il catalano esperit. Lo spagnolo espiritu. Il portoghese espirito. È soffio, alito d’aria, aria mossa, vento. Da leggerezza e invisibilità il tempo ha mutato in qualsiasi espressione veicolando capillarmente fantasie su sostanza incorporea, parte essenziale, volatile. Materia sottilissima. Estremum spiritum excipere fu frase cara ai latini che par manifestavano credenza sull’anima del moribondo che per ultimo respiro uscisse dalla bocca (era in uso che il parente più prossimo procurasse di raccoglier colla propria sull’estremo alitar).
Spiritualità, רוּחָנִיּוּת, ruchaniyyùt. Lazarus Taxon.
Il tentativo di interpretazione e attribuzione, deboli e fragili impressioni di produzione cosiddetta umana, sosteniamo vada costantemente ricercato sulla via antropologica, ma consideriamo anche la prova linguistica fioco bersaglio o gracile origine che attraverso i tempi possa aver colto illusione come maschera protettiva e abbandonato precisione per mancanza di buona mira. Dobbiamo sempre più calcare il vissuto pratico, dimenandoci per scivolar via da danni indagati promossi da sostenute ideologie, filosofie, concetti teologici, trasposizioni, prunai (si direbbe impropriamente mentali), azzardi curativi fallimentari, –ismi, modalità di pensiero antico che trasportano sapere introducendo menzogna e incarnata sudditanza incontrando manipolatori e manipolate vie di insuccesso disgregante, forte di perfidia e codardia. Confini, chiusure, margini. Non è questo il mortale? בשר bāśār, carne, corpo, carne di bestie vive. σῶμα, soma, sarxs, sema.
Il sanscrito सोम, sóma, è il succo ricavato da una pianta oggetto di offerta sacrificale, yajña. Anche la stessa pianta da cui veniva estratto il succo sacrificale nei testi vedeci. Un collegamento muove a sikaru, sikru, hamar, שכר šēkhār, sikera, sicera e haoma, amrita… Continuando si rischierà di passar per ambrosia e arrivare a un alchemico lapis philosophorum che potrà sembrare l’ultimo anello già presente nell’uomo. Prendiamo mosse su modello e simbolo di sacrificio, atto inteso come naturale processo umano, lungi da filosofie escatologiche. Altresì consideriamo l’ancillare fattore inebriante quale abbacinante spinta a sovra manifestazioni immaginifiche. Il prodotto ingaggiato a far proselito favella eristica. Tossicità. Σικερηνος, Sikerenos, par sia stato utilizzato come epiteto di Apollo, Si scelga se curi o condanni.
Un assetto riporta sulla via dell’uomo. Assumiamo partizioni e tripartizioni con gusto di pasto acescente e insipido. Sosteniamo un’analisi delle parti nell’osservazione olistica per l’ente, di passaggio da *Dʰéǵʰōm, *Pl̥th₂éwih₂, *ǵʰm̥mṓ, , LU, *źémē, *hemō, אֲדָמָה, ādhāmah, אָדָם, ādhām, l’uomo rosso, आदमी, मनुष्य · मानव, آدَم ,آدم, земля, क्ष, χαμαί, 𐌲𐌿𐌼𐌰, guma.
Antropos. Dal greco ànthropos significante uomo. Forse risponde il latino súspiciens, guardante in su, dal greco ànô, su, athrèo, guardo, e òps, occhio. D’interesse theôria, osservazione, lo stare osservando, da theôròs, spettatore e theôreô, radice di theàô-mai sono spettatore, considero, contemplo. Anticamente: coloro inviati a osservare. Anche ànropos, radice greca anèr, genitivo andròs, uomo, e anche maschio, marito. Il sanscrito riporta radice nr.
Frenologia. Dal greco φρήν, phrên, tradotto mente. Anche pensiero, e intelligenza. Comparato al sanscrito prāṇa, soffio, vita. Anche spirito. Si accosta all’albanese frig, ove frin-ig è io spiro. Abbiamo visto il latino ànimus, dalla radice an, spirare, e il greco psychè, anima, anche da psychò, io respiro. Logia da lògos, anche discorso.
Interessante l’intima unione sussistente tra diaframma e cuore. Sulla nostra via iniziale, sulla congettura che ha mosso all’intuizione di una spinta iniziale delle informazioni dai neuroni cardiaci che agiscono il pensiero e corron via d’impulso ammantati per impatto da aria e sangue, i concetti che producono prāṇa, o ātman, o nèfesh, o ba, o psychè, o nafs trovano ben forma in quadro che non vogliamo dipingere forzatamente, ma sembra autorealizzare un’opera concreta e evidente.
Attenderemmo il critico incontrato all’interno di un passato taccuino che, nel rimostrar, asserirebbe che questo nostro dire smonta (per meglio: distrugge) la scienza che ha per oggetto lo scoprire per via d’induzione le facoltà e le inclinazioni dell’uomo dalle protuberanze che trovasi nel cranio, ma sostenendo di pensare di non aver scoperto nulla, risponderemmo che la frenologia si commenta (o si è commentata) da sola, ma ha il pregio di averci messo (o rimesso) sula via di maggior propria delucidazione e purificazione dalla nebbia. Potrebbe comunque esser la nebbia stessa catartico agente.
Notiamo diaframma e ci riportiamo a σωφροσύνη, soprosyne, di derivazione da sos, sano e phrên. Attiene a prudenza, autocontrollo, riflessione, capacità intellettuali, discernimento e sanità di mente. Saophron vien nominato il buon Apollo dal tal Omero, e qui si ha da perdersi tra topos, omonimie, il cosiddetto Cristo, un giudeo alessandrino, il sole, (nelle उपनिषद्, Upaniṣad dell’ Induismo vedista genera e divora i suoi figli – Crono, Kronos), Osiride, Mot, determinativi e appositivi che esperiscono possibili vissuti racconti intrappolati, nonostante i tentativi di non inimicarsi carnefici, tra Poseidone, acqua, terremoti, YHW, Κύριος, Zeus, Chemosh, Kamish, Moloch, Nergal, Ade, Milkom, Hadad, Melqart, Šamaš o altra cosiddetta , Dingir. La lista è sin troppo densa. Una carrellata ci porterebbe fuori strada e calzerebbe quel che per astrazione interessa una trasformata macchinazione teologica, una weltanschauung più cara ad altri. Potremmo produrre linee di testo ricordando l’incontro con racconti che catapulterebbero da steli, papiri, cartepecora, scoperte, attribuzioni, macrologia su questo taccuino, muovendo da Enki, a El, a Baal, a Path, ad Atum, a Purusha, a Prajapati e intesi demiurghi, e progenie, tracciando ipotizzanti percorsi d’esistenza e attività di tali Apkallū, Oannes forma di Ea o Anu, Utu, Babbar, sospettando che (di tanti, uno) spingano (abbiano spinto) a straordinarie fantasticherie metafisiche sull’osservato, introducendo sull’ominizzazione il desiderio di una controparte (anche) utile a ogni eredità. Caste teocratiche e ierocratiche che nel critico riposo cosmico hanno teorizzato altra importanza di potere solare e lunare togliendo l’uomo all’uomo, muovendo in bilico su di un sottile sferzante rasoio d’autoinganno. Ma non ne siamo certi.
Tu ne quaesieris – scire nefas – quem mihi, quem tibi finem di dederint, Leuconoe, nec Babylonios temptaris numeros. Vt melius quicquid erit pati. Seu pluris hiemes seu tribuit Iuppiter ultimam, quae nunc oppositis debilitat pumicibus mareTyrrhenum, sapias, uina liques et spatio breui spem longam reseces. Dum loquimur, fugerit inuida aetas: carpe diem, quam minimum credula postero.
Odi, Orazio (1,11)
Sospendiamo attraverso καλοκαγαθία, kalokagathìa, è l’esser bello e buono. Se prova dovesse a trovarsi, cercheremo in questo luogo e in questo tempo e, seppur con rigida attenzione e serietà, il nostro dev’esser il favorirci guardia dal pericolo di sovrapersonalità. Dia- è separazione, e questo ci fa intendere divisione che riportiamo d’esistenza tra autenticità e inautenticità di gettatezza, riscontrabile tra il cosiddetto narcisista e personalità che non manifesta tratti. L’appartenenza a φρόνησις, phronesis alletta nel perseguire indagine del sottoconcetto su traduzione riportata in saggezza, ma un campanello d’allarme avverte della possibilità di cedere il passo alla via tanto religiosa quanto deviante, poiché si può capir che è si facile a ora cader sulla via di tempĕrantĭa. La bruma appare un muro che invita a non sprecar tempo.
Ecco udir alle nostre spalle il bue che critica il bove.
«Anche lei è religato ai suoi pensier! Non osserva forse religiosamente producendo pensier che da un senso vanno in una direzione? In che cosa differisce? Quale è l’apporto? Qui si vuole il nuovo!».
Dobbiamo esser pronti al critico. Forse s’inganna causa il suo pensar terreno acclive; ma qui non si sale, si declina. Esso introduce il nuovo. Qual nuovo? Ecco, desidera. Desidera novità. Certo, in questa noia… Rispondiamo al deietto.
«Non si colga error, poiché il nostro viaggio modifica il cercar di conseguire, l’impegnarsi con tenacia per raggiungere un fine, se un fine vi sarà, se si paleserà, se argomenteremo di risultato a motivo del perseguito nobile scopo. Lei agisce passo sul letterale perseguitare, il promuovere o attuare una persecuzione: linguaggio che patrocina istile atto. Scelga se fare, scelga se esser – per suo essere – il per facoltà domato».
ἀθάνατοι θνητοί, θνητοὶ ἀθάνατοι, ζῶντες τὸν ἐκείνων θάνατον, τὸν δὲ ἐκείνων βίον τεθνεῶτες
L’uomo liquido si divide nel partecipar dell’atteggiarsi in schieramento, tra questo e quello, quella via o l’altra via, ma abbiamo veduto quel quartierino ove i sorrisi spostano silicone a mezz’aria, mentre fuggono dall’essere che è l’esistere al mondo, nel mondo. E abbiamo vista l’anziana che più non ride e accuora per sì raro esserci l’angoscia, non paura, giacché tutte le maschere non erano altro che apparenze, tutto questo mondo non era altro e non è che l’immagine di una infinitesima globalizzata apparenza, sopra il pianeta mondo che non richiede il parassita nato terrestre, non più.
Quindi apporto?
Quindi fazioni?
Quindi il confutare?
Quindi il contraddittorio?
Pensatore e critico sono entrati nello stesso quartierino, nel quale una porta si chiuderà sul qualcosa.
Dentro, e così correttamente separati.
«Vi esorto a non procedere su moraleggiante falcata, ben evitando il cucir quale seconda pelle i brutti panni di un crollo che di fine qualità assomiglia più a ruspa che batte e ribatte, passa e ripassa, e spiana terreno per crociate della verità!».
Ma io non ho assolutamente tempo libero (scholé) per queste cose; e la causa, amico, è la seguente: io non sono ancora capace di conoscere me stesso, secondo la scrittura (gramma) delfica. Perciò mi sembra ridicolo, senza ancora conoscere questo, indagare su cose aliene. Perciò le lascio andare e seguo quel che si crede, mentre, come dicevo, indago non esse ma me stesso, se sono per caso un mostro più complicato e furioso di Tifone, oppure una creatura più docile e semplice, partecipe per natura di un destino divino e moderato.
Phaedrus, Plato (229e)
Schizofrenia. Dal greco σχίζω, schizo, diviso, e phrên, indi mente divisa. Ci riporta alla stortura della mente, più che a un limes responsabile di una chiusura delle informazioni di partenza dirette al filtro deputato alle elaborazioni. Tuttavia, se trattiamo di scissione, codesto confine tra due campi è nel diaframma, o lo stesso.
Psicopatia. Dal greco ψυχή, psychè, anima e pathía, da πάϑος, pàthos, sofferenza. Anche passionalità, concitazione, grandezza. Alcuni riportano malattia mentale. Come già scritto nei taccuini, non intendiamo reazioni psicogene e psicosi endogene (ma su queste ultime i collegamenti sono significativi), quindi riteniamo scorretto basarci su malattia e / o disturbo, campi che distraggono e muovono fuori percorso tracciatosi. In assenza di trauma cranico, che può modificare l’elaborazione delle informazioni giunte dai neuroni cardiaci, non sospettiamo alcuna alterazione, e riteniamo che si debba argomentare di mancanza, per l’appunto: sofferenza.
Taccuini fa ho debolmente accennato a una nuova forma di psicopatia, una nuova forma di individuo, di essere, di sostanza e di ente.
Una nuova forma di pericolosità, sulla spinta di indagine e tempi, di commìxtio sànguinis. Risulta ovvio che, siffattamente, non v’è esclusione di stirpe.
Il tal Kraepelin ha distinto gli psicopatici facendo uso di: eccitabili, istintivi, instabili, bizzarri, bugiardi, litigiosi, antisociali.
Il tal Schneider ha classificato i soggetti psicopatici utilizzando: ipertimici, depressivi, anancastici, insicuri, fanatici, desiderosi di valore, labili dell’umore, esplosivi, disforici, amorali, freddi d’animo, abulici, astenici.
No, non vacilliamo sulla nostra esperienza generalizzando. Sappiamo bene che si cade in errore.
Versiamo qui contenuti che indaghiamo ma auguro a me stesso di non volere, o non dovere, far uso di anima, animo, spirito, sul nascere di nuovi taccuini, se non debitamente ponderando e il più possibile se e quando la nebbia dovesse diradare sino a scomparir alla vista, per svelare il cercato, a regalar prima certezza. L’ottundimento scaturito dall’ammorbidimento ricercato e percepito attraverso astrazioni e ragionamenti che levian frustrazioni è pratica di illusioni che, in quanto veleni, turbano e curano, giacché possono ledere e dar sollievo. Rimaniamo su terreno meno minaccioso favorito da esperienza, la quale non debba scomodar troppo incarnato religio.
Tuttavia siamo saldi sul nutrir dubbio d’interpretazione. Sembra sia pur sempre l’uomo, e non altro, ad attribuire attribuzione. Per taluni il nome è importante, per talaltri la parola è pesante, mentre vi sono quelli che assegnano rilievo alla scrittura. Ma che cosa è? Quale cosa? Lo è davvero? Cosa vale? Quanto e come possiamo conoscere l’essere? Quanto e come sappiamo l’essere?
Battiamo terreno scomodo e infero ove il divieni ciò che sai ci porterà nuova vita oltre il divieni ciò che sei.
Manifestiamo tenace curiosità e sentiamo ogni via, nello sprofondare caduti da un mandorlo che non spiega se Betel sia il luz che non partecipa di marcescenza.
La forma è esistentiva cosa dell’animale mortale che manca di esistenza, giacché vive l’esistenza perduta del tal Mounier, l’inautentico del tal Heidegger? Ma, se questo è, dunque è dell’animato, dell’essere, dell’essenza, della sostanza che discutiamo e che gioca in causa, e che il linguaggio par di cogliere ma non cattura. Si narra il proprio che andiamo indagando. Sulla forma, argomentiamo di accidente frutto di conseguenze. Riportiamoci ad aria e sangue, respiro e stirpe, non foss’altro per non rovinare su deriva spiritual spiritualista e inciampare su terminologie e pensier religioso di talune imponenti minacce.
Di qual allolaia partecipa l’uomo che assume illusioni come moto, speranza, ragion di vita, certezza, appiglio, dedizione, esubero di sangue respiro e corpo? Cosa può esser dunque la spinta capillare che avvelena il collettivo con un sol simbolo di morte?
Sarebbe possibile avere riscontro dalla differenza tra uomo e animali di diversa specie? Costitutivamente immaturo, neotenico, precario, bisognoso di cure e (forse) domesticamento, su forzato apprendimento modellato da istruzione, diseducato, disevoluto per aspetti istintuali (robustezza nel panorama altro), è un disadattato cronico il prematuro partorito?
In passato abbiamo abbordato temi che temiamo abbiamo assunto il gusto del tempo sprecato, per positivistico concetto troppo influenzato da una corsa al definire per certezza, a motivo di illazioni. Congetturavamo sulle scie di ebefrenia e di disturbo esplosivo intermittente, di isteria e degenerativi fenomeni nervosi, ma come abbiamo pensato l’aspetto mentale non inerisce a disturbo, a malattia, ma a stortura naturale del respiro corrotto. Discutendo di vuoto chimico, sull’ipotesi del ricordo ancestrale calato nei neuroni cardiaci, ci vogliamo avvicinare così all’essere, sul percorso iniziato che ci condusse nell’esperito abisso del cosiddetto narcisista.
Si pone una riflessione. Sì, ancora una. L’ultima, prima di (ancora) altre. L’ente è gettato in un mondo che costruirà, all’interno di un mondo che apre una debole frattura temporale. Si direbbe l’ingiustizia prima, considerando rapporti non equi tra chi sceglie di concepire e chi vien concepito. Considerando alcuna domanda utile a tutte le parti, alcuna risposta se si ponesse. Il tal Benatar analizza con maturata esposizione astrazioni di dolore e pena, condizione umana, bene e male, danni. Si fa spazio attraversando un mare di critiche, solcando sulla medesima barca che tutti contiene. E mentre si combatte col pensiero, si agisce inviando nuova linfa a morir di vecchie guerre. E si chiede, e si chiederà ancora, e ancora, di combattere e procreare, per l’invio di masse indicate come i vigorosi, a gestir sterminio sulla natural follia che, se ben vissuta, non praticherebbe l’esatta distruzione per precisa costruzione di piramidi di potere.
Sulla Terra l’uomo è morto, non vive più qui. Non vive più il pianeta.
L’essere che sopravvive il rapimento dal nulla, questo prendere, questa presa, non è più uomo. Il nucleo dell’ambiente è il magma che osserva catastrofi nuclearizzate a insanabile danno.
Il piccolo egolatra mortal parlante è calcolo.
«Non si è spaventati? Non si è inquietati?».
Problemi enormi che ci invitano sempre più a sradicarci dalla fintezza di strutturate illusioni metafisiche che dimostrerebbero esperienza e ricadono sull’ente in qualità di titaniche cantilene tra parricidi, intrappolandolo all’interno di un terribile e spaventoso sociale, mosso dall’impatto di una scricchiolante società che tutto è fuorché naturale tempo. Veniam mossi al positivismo, al duale, alla miseria. Se concepiamo l’assenza per mancanza di un equivalente per ciò che dal cosiddetto perverso, il narcisista partecipante di efferatezza e morte, è dato, è stato dato, quale sarebbe il peso congruo?
Proprio adesso occorre un forte respiro in questa lunga attesa, così fermi e così lanciati nella nebbia,
Ordinaria è la volontà di dominio e ordinario è l’inesausto moltiplicarsi del desiderio di possedere nuova materialità. La spasmodica ricerca di soddisfazione edonistica muove l’uomo liquido a non preoccuparsi dei valori fondamentali dell’esistenza, nell’esistere nel quale è gettato, giacché oggi sopravvive a tutte le morti di tutti i costruiti e smantellati valori sulle morti dei disvalori.
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3 Settembre 2024
Vige ancora tutto ciò che è pusillanime. Del mondo voi che non siete e voi che parte non fate, siate altrove benvenuti. Qui il dramma è l’infero dei non autentici che a produrre attraverso gli organi della menzogna giacciono nel letamaio di laidi grumi di sangue e acqua.
La storia ha due volti: quello ufficiale, mendace, e quello segreto e imbarazzante, in cui però sono da ricercarsi le vere cause degli avvenimenti occorsi.
Honoré de Balzac
PsykoSapiens, counselor psicosociale