Sono passati quasi 70 anni da quel 19 agosto del 1957, prima assoluta di “West Side Story” (al National Theatre di Washington), il capolavoro di Jerome Robbins, Arthur Laurents, Stephen Sondheim e Leonard Bernstein,  da ieri in scena al Teatro Sistina di Roma con l’adattamento di Massimo Romeo Piparo.

Sono passati quasi 70 anni, ma tutto sembra essere come allora. Non solo perché l’opera conserva intatta la sua forza espressiva, mantiene la stessa potenza visiva e musicale, né perché la nuova produzione, pur fedele nella forma e nella sostanza, si limiti a una riproposizione nostalgica. Ma soprattutto perché le tematiche affrontate restano sorprendentemente attuali: l’emancipazione femminile, la divisione delle classi sociali, il razzismo, la convivenza fra diverse etnie, la delinquenza minorile e i conflitti etnici tra bande.

 

Tutto questo sullo sfondo dell’Upper West Side di New York, che nel 1957 diventa il simbolo di un complesso processo d’integrazione, ancora oggi in corso, non solo negli Stati Uniti. La scena in cui, tra un filare di panni stesi, Anita, Rosalia e le ragazze Sharks rievocano la loro terra d’origine potrebbe tranquillamente svolgersi tra gli incroci multietnici di Porta Palazzo a Torino, o di Quarto Oggiaro a Milano, nei serpentoni di cemento al Corviale di Roma o tra le masserie urbane di Forcella a Napoli.

 

Da quel 1957, che cosa è realmente cambiato? Nonostante i progressi, la parità di genere resta una sfida irrisolta. Secondo il Global Gender Gap Report 2023 del World Economic Forum, ci vorranno ancora 131 anni per colmare il divario di genere a livello globale. Sul fronte economico, le disuguaglianze si sono accentuate: l’1% più ricco della popolazione mondiale detiene il 45,6% della ricchezza globale, mentre il 50% più povero ne possiede meno del 2% (dati Oxfam, 2023).

Anche il razzismo e la convivenza tra etnie rimangono questioni aperte. Negli Stati Uniti, il reddito medio delle famiglie bianche è circa 1,7 volte quello delle famiglie di colore. In Europa, secondo l’Agenzia UE per i Diritti Fondamentali, il 30% delle persone di origine africana ha dichiarato di aver subito discriminazioni razziali negli ultimi cinque anni. Quanto alla delinquenza minorile, spesso legata a povertà ed esclusione sociale, i numeri sono preoccupanti: in Italia, circa 30.000 giovani sono stati denunciati per reati penali come furti, spaccio e violenze tra coetanei. In Francia, nel 2023, il 70% dei conflitti tra bande coinvolgeva giovani immigrati.

 

Non è un caso che il successo di “West Side Story” abbia segnato una svolta nella storia del musical. Per la prima volta, lo scopo non era solo intrattenere, ma portare in scena storie di vita forti, verosimili e profondamente radicate nei problemi sociali del tempo. Una scelta che, dopo quasi settant’anni, non ha perso la sua capacità di parlare al presente.

 

Ma tornando allo spettacolo, e condividendo in pieno i giudizi lusinghieri su Luca Gaudiano (Tony) e Natalia Scarpolini (Maria), merita attenzione anche il lavoro di altre figure. Rosita Denti, che interpreta Anita, la fidanzata di Bernardo (Antonio Catalano), capo degli Sharks; Elga Martino nel ruolo di Anybodys, la “maschiaccia” degli Jets, e Giulio Farnese nei panni di Doc, titolare della drogheria dove le due bande si incontrano per un consiglio di guerra, sono tutti interpreti che accentuano le contraddizioni, e la tragedia, e definiscono il conflitto. Ogni personaggio, con i suoi istinti segreti e gli oscuri sottintesi,  è fatalmente imprigionato in quel dramma voluttuoso di sangue.

 

Tutti loro, insieme all’intera compagnia, navigano gli abissi dell’animo umano. I loro tormenti,  profondamente legati ai processi morali di quegli anni (e dei nostri), sono resi con grande originalità di stile e in una forma teatrale di forte impatto comunicativo.

In questo contesto, “West Side Story” va oltre il semplice spettacolo e diventa una riflessione profonda sulla condizione umana. La vita moderna è una costante ribellione alle leggi millenarie: ogni giorno rimodelliamo il mondo, ritardiamo l’inevitabile, trasformiamo i concetti di tempo e di spazio. E lo facciamo nella speranza che  (“Somewhere, a place for us, peace and quiet and open air, wait for us somewhere”)  “da qualche parte, esista davvero un posto per noi, dove trovare pace, silenzio e libertà”.

al centro: Rosita Denti (Anita) e a dx: Antonio Catalano (Bernardo), foto Gianluca Saragò