Benedicta Boccoli è un’artista tenace, vivace e audace, che vive ogni sfida con grinta e passione.

Milanese d’origine, ha esordito giovanissima in televisione alla fine degli anni Ottanta con Gianni Boncompagni, prima come ballerina e poi come showgirl e conduttrice, prendendo parte a molte trasmissioni d’intrattenimento come “Pronto, chi gioca?”, “ Domenica In”, “Piacere Raiuno”, “Unomattina”, “Gelato al Limone.” In coppia con la sorella Brigitta ha cantato al Festival di Sanremo nel 1989 con la canzone “Stella stella”, scritta da Jovanotti e prodotta da Claudio Cecchetto. Nei primi anni si è dedicata molto alla danza, ha ballato con delle étoile della danza classica, realizzando dei videoclip nelle piazze più importanti d’Italia.

Ma la sua carriera ha trovato piena espressione principalmente nell’ambito cinematografico e teatrale, ambiti nei quali ha saputo distinguersi e consolidare il proprio percorso artistico. Ha lavorato in radio con RTL 102,5 e ha condotto e scritto trasmissioni radiofoniche per Rai Uno. Oggi scrive su Il Fatto Quotidiano e la sua rubrica si intitola “Cosa resterà”: diario di una adolescente degli 80 e 90.

Dal 1998 ha una relazione sentimentale con Maurizio Micheli, grande attore, scrittore e sceneggiatore, suo fedele compagno anche nei momenti più difficili.

Durante la battaglia contro ben due tumori al seno, lui è stato il suo sostegno instancabile, dimostrando che il vero amore si rafforza nelle grandi prove.

Ha iniziato giovanissima in televisione, poi la danza, la musica, il teatro e il cinema: quale di questi mondi le ha permesso di esprimere meglio chi è davvero Benedicta Boccoli?

Per me, i vari mondi che ho frequentato come danza, recitazione, teatro, cinema e, più di recente, la regia di due cortometraggi sono sicuramente diversi. Lo sono per il tipo di espressione che richiedono, ma hanno anche qualcosa in comune: le ispirazioni spesso si somigliano. Questo accade perché nel teatro porto la danza, la mia vita, tutto ciò che sono.

Nel 1989 ha calcato il palco di Sanremo con sua sorella Brigitta. Come ha vissuto quell’esperienza e che significato ha oggi ripensare a quel momento?

Quando penso a me e mia sorella a Sanremo, nel 1989, non posso fare a meno di sorridere e provare una grande tenerezza. È stato un periodo importante, perché godevamo di una grande popolarità. Se oggi sono qui, a fare interviste e raccontarmi, lo devo senza dubbio a Gianni Boncompagni, che ci ha dato l’opportunità di farci apprezzare dal pubblico

Sanremo è un palco prestigioso e Stella stella, la canzone scritta da Jovanotti e prodotta da Claudio Cecchetto, è stata un’esperienza significativa. Negli anni successivi, quel brano è stato spesso oggetto di ironia e ha vinto diverse classifiche trash. Per lungo tempo non l’ho nemmeno inserito nel mio curriculum.

Oggi, però, guardo a quel pezzo con grande affetto e un pizzico di nostalgia. Io e mia sorella abbiamo deciso di reinterpretarlo e, presto, lo vedrete in televisione in una nuova versione.

Un legame speciale con sua sorella Brigitta, ce ne parli.

C’è un legame indubbiamente forte tra noi, che non è soltanto quello familiare: è stato anche lavorativo. Poi ci siamo separate per tanti anni, perché abbiamo due personalità diverse. Lei è una persona che si lascia scivolare le cose addosso, mentre io sono molto più passionale e tendo a prendermela in certe situazioni.

Nonostante ciò, siamo veramente compatibili, e per questo ci vogliamo molto bene. Lei ha una famiglia con due figli, mentre io non ho una famiglia: vivo da artista, con uno stile di vita completamente diverso dal suo. Non ci frequentiamo tantissimo, ma quando ci sono problemi familiari, devo dire che c’è qualcosa che ci unisce profondamente. Questo legame mi dà una grande sicurezza.

Che ruolo ha la fede nella sua vita?

Io non credo nell’aldilà, mi piacerebbe crederci, ma non ci riesco. Per questo ho paura di morire. Chi crede non teme la morte, perché pensa che ci sia qualcosa oltre di essa.

Io, invece, penso che prima di nascere fossimo già morti. Abbiamo avuto questa grande occasione che è la vita e, poi, moriremo di nuovo. Proprio per questo voglio godermela il più possibile. 

Affrontare la battaglia contro il cancro è un’esperienza che segna profondamente. Come l’ha trasformata e cosa ha imparato da quei momenti così difficili?

Si imparano tante cose anche da una malattia, come la capacità di relativizzare tutto. Però, alla fine, i miei difetti e i miei pregi restano sempre gli stessi. Certo, ho sviluppato un attaccamento alla vita ancora più forte: le attribuisco un’importanza enorme e sono convinta che non possiamo permetterci di sprecarla.

Bisogna prestare attenzione a ogni momento della giornata, vivere pienamente ogni esperienza e non restare indifferenti alla vita. Questo è ciò che ho imparato. Ho anche compreso quanto sia fondamentale la prevenzione: essere attenti e fare controlli regolari può letteralmente salvare la vita, e questo è un messaggio che ripeterò sempre.

Penso che sia indispensabile sostenere la ricerca, perché il cancro è diventato un problema rilevante che dobbiamo affrontare con tutte le risorse possibili.

Lei ha lavorato con grandi nomi del teatro e della televisione, come Giorgio Albertazzi, che la definì “l’artistissima”. Qual è l’insegnamento più prezioso che ha ricevuto da questi maestri?

Sono una persona ormai matura, ho vissuto tanto e visto molte cose. Tra le esperienze più significative vissute, vi è stata quella con Giorgio Albertazzi, un percorso non facile, ma certamente indimenticabile. Lui era il regista di uno spettacolo a cui stavo lavorando e ogni giorno mi chiedeva di provare il ruolo in un modo diverso: un giorno in stile dramma antico, un altro in chiave comica, poi in modo straniato e così via. Un giorno arrivò in sala e mi disse che quel giorno l’avrei dovuto fare “barocco”. Non capivo cosa volesse dire, ma finimmo per ridere tanto.

Il culmine di questa esperienza arrivò il giorno della prima al Festival di Benevento: mezz’ora prima di andare in scena, Albertazzi decise di cambiare il finale. A quel punto, fu risposto con determinazione che bastava così e che si sarebbe deciso in autonomia. Più tardi, quando gli fu chiesto il motivo per cui ogni giorno avesse fatto provare il ruolo in modo diverso, rispose che non si considerava un grande regista, ma un grande attore. Spiegò di aver voluto offrire mille possibilità di interpretazione, lasciando poi all’interprete il compito di scegliere e portare in scena la propria autonomia.

Ogni lunedì, cura su il Fatto Quotidiano la rubrica intitolata “CosaResterà”, ci racconti di cosa si tratta.

CosaResterà è una rubrica che curo da nove anni su il Fatto Quotidiano. Sono racconti ispirati a una ragazza degli anni ’80 e ’90, che sono io. Si tratta di una sorta di monologhi teatrali: non essendo una giornalista, scrivo con leggerezza e ironia, raccontando quegli anni attraverso uno sguardo personale e di costume.

Finora ho scritto circa 450 pezzi, piccoli racconti che potrei facilmente portare in scena. Chissà, magari un giorno ne farò uno spettacolo teatrale.