Tanti gli interrogativi che sorgono di fronte al quadro desolante di un Medio Oriente devastato da conflitti e grandi ritorni
Mentre il ritorno dei jihadisti in Siria, ora con clemenza definiti ribelli, domina la ribalta delle cronache, e la tregua traballante tra Israele ed Hezbollah in Libano induce a riflettere sulle eventuali conseguenze, mentre Gaza è ridotta a un cumulo di macerie e il bilancio delle vittime sale con assurda continuità, sorgono tanti interrogativi.
Il Medio Oriente è in fiamme e l’allargamento del conflitto è dinanzi ai nostri occhi. Ma quali sono gli interessi e i sottili giochi politico-economici che muovono le pedine di una scacchiera sempre più incandescente?
Le testimonianze che giungono dai diversi teatri di questo conflitto, che ormai appare sempre più come unico, fotografano una realtà sconcertante di violenze, abusi. Espressione di vecchi rancori e di odi sedimentatisi negli anni.
Ma le voci che si levano dai vari fronti, oltre ad esprimere la desolazione di chi vive l’inferno, ci dicono quelle verità che squarciano il velo, il filtro di propagande manipolatorie.
Dalla Siria una testimonianza attendibile
Un nuovo teatro di guerra si è aperto in Siria e la notizia dei missili piovuti sulla sede dei francescani, presenti sul territorio, ha destato un’eco notevole ovunque. Ma ciò che fa riflettere è la testimonianza di padre Firas Lufti, frate minore siriano, da molti anni ad Aleppo.
In un’intervista rilasciata all’editoriale Avvenire, padre Firas racconta come la presa di Aleppo da parte dei ribelli sia avvenuta senza alcun combattimento, senza che fossero fermati prima di entrare in città.
I ribelli infatti ‘hanno trovato una città vuota’ riferisce il sacerdote ‘vuoti gli uffici amministrativi, vuota i centri di polizia’
E secondo quanto detto da padre Firas, solo in un secondo momento, non si sa chi, ha iniziato a bombardare dentro la città, colpendo i civili.
Un fatto inspiegabile, che lascia chiaramente intuire come alle spalle ci sia un’occulta regia, probabilmente legata ad interessi economici, oltreché geopolitici.
Jihad, un ritorno voluto?
.Chi c’è dietro tutto questo trionfale ritorno della Jihad in Siria? La Turchia di Erdogan? Israele, che mira alla totale destabilizzazione dell’Iran e dal 1967 occupa le alture del Golan, tenendo in pugno i suoi rivali? O dagli Stati Uniti che con la loro base militare sono a guardia dei pozzi petroliferi siriani, meta ambita da molti.
Di certo è sempre stato ambiguo l’atteggiamento di Mosca che, malgrado sia intervenuta, nel 2015, a sostegno di Assad non ha mai preso una posizione netta e decisa nei confronti dei ripetuti raid israeliani in Siria.
Raid che, a una lettura attenta delle dinamiche politiche che possano presiedere a questa espressione di violenza, attestano la volontà di Netanyahu di impedire a Teheran la fornitura di aiuti militari a Hezbollah, ma anche di consolidare il proprio controllo su un’area calda, ampliando conseguentemente la propria egemonia, ovviamente col placet degli Stati Uniti.
E, a convalida di questa ipotesi, l’atteggiamento di Trump, pronto a insediarsi nuovamente dal 20 gennaio alla Casa Bianca, non promette nulla di buono.
Il suo ultimatum ad Hamas, relativo al rilascio immediato degli ostaggi israeliani, pena un prezzo alto da pagare, suona come un triste presagio di un irrigidimento di un conflitto che già ha le sembianze di una guerra di inusitata efferatezza.
Tutto è ancora da vedere, ma le dinamiche sottili, celate ai più, di questo dilagante orrore cominciano a delinearsi con una preoccupante chiarezza.