Prendo in prestito lo straordinario ed esplicito titolo ( Un mondo in frantumi) di Aleksandr Solzenicyn, del suo celebre discorso ad Harvard, per rappresentare le difficoltà del nostro tempo, che, pur in situazioni diverse, significa il malessere attuale degli uomini e delle donne del nostro pianeta Italia.
Al di là delle difficoltà economiche, dei conflitti in atto nel mondo, delle povertà sparse per i continenti, esiste una inquietudine di fondo di chi sembra avere smarrito il sentiero e naviga a vista, brancola nel buio, si aggira angosciato alla ricerca di senso.
Il nostro paese è dentro questa inquietudine, prigioniero di una politica incapace di parlare alle menti, al cuore, di un popolo, incapace di affascinarlo, di coinvolgerlo, perché al di là di una mera gestione del potere non appare altro all’orizzonte.
E qui i ricordi mi riportano nell’infanzia, nelle serate a tavola a discutere, in un piccolo borgo di mille anime, dove papà con la seconda media e nonno con la quinta elementare si confrontavano animatamente su grandi temi.
In quel contesto capivo perché uno aveva votato per la monarchia e l’altro per la Repubblica, lì avevo compreso perché entrambi votavano per la Dc, e lì mi era stato chiaro sin dall’inizio che la politica, quella aristotelica, quella dell’agorà, era una cosa seria, aveva a che fare con la vita, con i progetti, le speranze che albergavano nel cuore degli uomini.
Di quella politica mi sono nutrito, a quella politica ho affidato la mia voglia di cambiare il mondo.
Una politica che passava dai concerti, dal teatro, dalla cinematografia, dalle poesie, dalla letteratura, dalla filosofia, dalle scienze, sempre nel rispetto della laicità, vero humus di una politica autentica, dove “…..magis amica veritas”.
Il nostro paese, a differenza del resto del continente, veniva fuori dal conflitto mondiale con tutta l’eredità del fascismo, di una guerra civile, che seppure in un contesto democratico si rappresentava negli anni a seguire, con la presenza del più forte partito comunista d’Europa, che seppure disarmato, non lontano da Mosca, molto più vicino al patto di Varsavia che alla Nato.
Le conseguenze di questa strisciante bellicosità si è tradotta in conflitti dentro e fuori dal palazzo, nelle piazze, fino a sfociare nella violenza terroristica.
Gli elettori, consapevoli della posta in gioco, avevano da una parte e dall’altra le idee chiare, per anni partecipando al voto, puntualmente scegliendo la parte dove voler stare.
Una democrazia bloccata, dal fattore K come spiegava il grande editorialista del Corriere della Sera Alberto Ronchey, che si è barcamenata attraverso strappi e molti compromessi.
Il Pci partito maggioritario della sinistra, elabora, con Gramsci, la strategia dell’egemonia culturale, come unica via possibile per conquistare le leve del potere.
Una egemonia che doveva essere nobilmente culturale, ma che nel tempo si trasforma e si struttura in gestione del potere.
Pian piano, la Dc è costretta, sotto la spinta della stampa, (dentro il progetto gramsciano), dei sindacati, (il segretario della CGIL sedeva nel comitato centrale del partito) con le manifestazioni di piazza, con gli autunni caldi , gli scioperi a “singhiozzo,” a “scacchiera,” e della rappresentanza parlamentare comunista agguerrita, a cedere terreno sull’organizzazione dello stato, configurandosi nel tempo una massiva ingerenza dei partiti in tutti gli ambiti, lavoro, scuola, sanità.
Il dialogo di Berlinguer con Moro, la solidarietà nazionale, era frutto di una necessità, davanti alla paralisi delle istituzioni.
Il mistero del rapimento e della uccisione dello statista Dc, rappresenta tuttavia, una via di uscita a quella situazione di stallo, la Dc ritrova i suoi alleati di un tempo, il PCI la sua libertà nelle piazze, commettendo a mio parere, un errore grandissimo, arrestando con la “seconda svolta di Salerno “ 1980, quell’evoluzione in senso socialdemocratico, di quello che era stato il partito di Togliatti.
Cosa che Berlinguer non aveva mai voluto, immaginando altro, che non abbiamo mai visto perché la sua vita ha termine prematuramente.
La vera novità era l’affacciarsi sulla scena politica di Bettino Craxi, riformista, appartenente ad una sinistra non marxista, insomma all’orizzonte nel nostro paese si profila finalmente una possibile alternativa alla Dc, che abbia perno nel partito socialista.
Perché questo possa accadere, abbisogna che i rapporti di forza PCI PSI si ribaltino, come in Spagna, Francia.
Almeno che De Mita non accetti una riforma istituzionale presidenzialista, cosa che avrebbe reso Craxi papabile, con buone probabilità di vittoria.
Craxi è abile nel logorare i comunisti , e con l’aiuto della caduta del muro di Berlino è quasi arrivato al ribaltamento dei rapporti di forza, tanto che sicuro di se, sponsorizza l’entrata del partito di Occhetto nel partito socialista europeo, ma…. non immaginava che nel momento in cui finalmente l’egemonia degli ex comunisti sembrava fosse alla fine…arrivava tangentopoli.
Nuovo rimescolamento delle carte, nasce la seconda Repubblica, la gioiosa macchina da guerra di Achille viene battuta dal cavaliere, perché c’è un popolo, quello dei moderati, il centro, che non amava prima i comunisti, e continuava e continua e continuerà a non amare gli ex comunisti, facendo la fortuna di Berlusconi, Renzi, Salvini, oggi Meloni.
Popolo che ama invece una società che abbia al centro la persona e non i partiti, che desidera vivere in libertà le scelte fondamentali della vita, senza ingerenze stataliste.
Popolo che continuerà a chiedere a chi oggi li rappresenta non di pagare 20 euro in meno di canone Rai , ma di liberare il nostro paese dai lacci e lacciuoli che ingessano la scuola, la sanità, il lavoro, la giustizia, l’informazione.
Popolo che ha in se una proposta che destrutturi quell’ impianto di società che ha reso possibile una egemonia culturale di una sinistra un tempo valoriale e che oggi invece rappresenta la gabbia del potere che impedisce al paese di crescere.
Oggi nel panorama italiano abbiamo un centro destra che ha vinto le elezioni, che ha il potere ma ha difficoltà nel rendere possibile quel cambiamento che il suo elettorato chiede, forse per una classe dirigente non tutta all’altezza come stigmatizzato da più parti.
Una sinistra prigioniera dei propri schemi e delle parole d’ordine come quelle forti di Landini, ma che gode di un “sistema” che gli è favorevole.
Per ultimi gli ex grillini, nati attorno ad un progetto culturale, la “piattaforma Rousseau” ed oggi diventati “progressisti indipendenti”, e “ho detto tutto” direbbe Toto’.
All’appello mancano Renzi e Calenda, culturalmente più vicini al centro destra, ipoteticamente la soluzione del problema, ma la personalità di entrambi rende complessa qualunque trattativa.
Oggi se la nostra democrazia rischia, non è per un pericolo fascista, inesistente, ma per la mancanza di una sinistra moderata, riformista, capace di svelenire il confronto politico, capace di portare le divergenze dalle piazze nell’aule parlamentari, quella sinistra del fare, del dialogo, quella sognata da Saragat, Craxi e dai tanti riformisti che abitano la nostra Italia.
Come diceva Giovanni Falcone le idee camminano con le gambe degli uomini.
Aspettiamo fiduciosi le idee e soprattutto gli Uomini.
Giuseppe Failla