La Cultura Medica del passato, assimilava il corpo umano a una macchina comandata da un cervello sostanzialmente rigido e con ingranaggi immodificabili.
William Harwey che nel 600 studiava anatomia a Padova, dove insegnava Galileo, scoprì che il sangue circola nel nostro corpo spinto da una specie di pompa che è il nostro cuore, da allora l’aspetto meccanicistico coinvolse anche il cervello e per per 400 anni la scienza ufficiale ha ritenuto l’anatomia del cervello immutabile, quindi deficit cerebrali sarebbero stati una condanna a vita con un cervello cablato molto simile a un computer.
Una serie di ricerche ha poi portato gli scienziati a introdurre il concetto di neuroplasticità sostituendo la convinzione che settori ben circoscritti potevano avere solo una funzione immutabile.
Un paziente colpito da ictus fu studiato da Broca nel 1861, la sua incapacità di parlare fu, alla sua morte e successiva autopsia, associata alla cosiddetta Area di Broca, una zona del cervello destinata al movimento della bocca e della lingua per parlare.
Nel secolo successivo si localizzarono aree nel cervello ritenute responsabili di altre funzioni cerebrali. Successive osservazioni su pazienti colpiti da ictus avvalorano la tesi che il cervello può recuperare le funzioni perse trasferendole in altre regioni.
Ci sono ora indicazioni che la corteccia cerebrale possa aumentare di peso e volume negli animali, con esercizi e stimolazioni cerebrali che incrementano la produzione di dendriti e nuove sinapsi.
L’idea che il cervello sia un muscolo che va allenato trova conferma nelle indagini post mortem in persone acculturate, secondo il neuroscienziato Merzenich, il cervello non è rigido come se avesse delle rotelle ma si riadatta costantemente migliorando le capacità cognitive.
Una plasticità cerebrale ci accompagna tutta la vita e miglioramenti sono possibili anche negli anziani nonostante diventi crescente la difficoltà di trovare. con l’avanzare degli anni, parole adatte nel linguaggio comune. Si ritiene che questo accada per disturbi dell’attenzione e tracce mnemoniche confuse (fuzzy engrams) che creano un sottofondo rumoroso nella trasmissione tra i neuroni.
Per mantenere un cervello plastico non serve praticare abilità apprese negli anni ma aiuta molto studiare una lingua straniera sconosciuta oppure imparare qualcosa di veramente nuovo. Sempre secondo Michael Merzenich, neuroscienziato statunitense presso l’Università della California a San Francisco, tutto quello che accade in un cervello giovane può accadere in un cervello anziano, ma solo se c’è la preoccupazione di avere una penalità o la speranza di una ricompensa che sarà mediata dalla dopamina.
Secondo Gerald Maurice Edelman, biologo statunitense e premio Nobel per la Medicina nel 1972 la corteccia cerebrale ha trenta miliardi di neuroni ed è in grado di stabilire un milione di miliardi di connessioni sinaptiche con un numero di possibili circuiti enorme, come di 10 seguito da un milione di zeri, più delle particelle dell’Universo conosciuto che è pari a 10 seguito da 79 zeri.
Umberto Palazzo
Editorialista de Il CorriereNazionale.net