di Gaya Villati
Correva la sera del 10 aprile 2016 e andò in onda su Rai 1 a “Laura & Paola” un potente monologo di Paola Cortellesi, regista e attrice, che raccontava gli scenari della violenza di genere.
La storia narrata è quella di Valentina, una bambina che crede nell’amore sin da piccola e che si trova a subire da adulta una relazione tossica e umiliante: si tratta di uno scenario ancora tragicamente attuale: secondo i dati pubblicati su Amnesty International riguarda infatti, almeno una donna su 3 ogni giorno in Italia.
Quelle parole di denuncia, risuonarono forti in diretta tv e furono un megafono per chi come Valentina, si era sentita almeno una volta, ferita, umiliata, privata della sua libertà e del suo essere donna.
Quel discorso a distanza di anni rimane un lascito prezioso ed è solo una goccia nell’oceano di chi, nel corso della storia, ha scritto delle proprie cicatrici, affinchè qualcuno sentisse l’urgenza del loro messaggio e ci sentissimo tutte meno sole.
Luciana Littizzetto, comica e conduttrice televisiva, in una puntata de “Stasera casa Mika” andata in onda su Rai 2 il 14 novembre 2017, esclama a gran voce: “Se una donna dice no, è no” in un emozionante discorso dove il focus è puntato sul consenso e nel quale ripete con decisione, che non esistono scuse nei confronti di chi insiste senza preoccuparsi se la donna sia d’accordo. Quel “fermati” è evidentemente espresso da una volontà: eppure i numeri del fenomeno, ci dicono che non è sufficiente, proprio come se non contasse abbastanza, come se ad esprimerla non fosse un essere umano.
Una voce altrettanto forte e libera, sebbene spesso derisa e banalizzata, la ritroviamo anche nella storia di Michela Murgia, scrittrice ed attivista, la quale si è battuta in tutta la sua esistenza per far si che altre donne come lei, potessero comunicare, protestare, esprimersi. Con la celebre opera “Stai zitta e altre nove frasi che non vogliamo sentire più” (Einaudi, 2021) capovolge la narrazione che da anni investe il paese, per il quale il modello femminile apprezzabile sia quello docile e composto, simile ad un angelo del focolare.
Con una penna a tratti provocatoria e una lucidità di pensiero invidiabile, ha scritto che: “Alle donne è concesso il pensiero afono”, evidenziando quanto la libertà d’espressione sia ancora in determinati ambiti, condizionata dalla questione di genere.
Raccontare le donne nel presente, nonostante vengano narrate da secoli, appare ancora significativo perchè la costruzione dell’immaginario che le riguarda influenza costantemente i nostri vissuti e li permea in moltissimi aspetti. A tal proposito, Alice Urciolo, autrice e sceneggiatrice, durante una puntata di “Parliamone”, disponibile sul canale youtube di Netflix Italia, in un dibattito su narrazione e parità di genere, ha affermato che mancano figure femminili professionali che raccontino le donne, soprattutto nel mondo della scrittura cinematografica. Esiste dunque un gap da colmare e non per “fare numero” come si suol dire, perchè non sono solo i numeri ad essere preoccupanti: occorre anche fare i conti con l’idea che a volte manchi un’immagine reale che ci raffiguri nel cinema e nell’arte, modelli di donne a 360 gradi che corrispondano nel quotidiano, piuttosto che stereotipi preconfezionati, poco aderenti alla concretezza con il quale ci confrontiamo nella routine.
È interessante notare inoltre che nella rappresentazione femminile contemporanea possono concorrere le storie di donne che anche nel loro lavoro, utilizzano il canale espressivo per raccontarsi. Un canale che può spaziare dalla scrittura di romanzi alla composizione di testi musicali, come nel caso di Emma Marrone, cantautrice salentina e artista dalle mille sfaccettature. Durante un’intervista radiofonica a radio Italia andata in onda su Real time quest’anno in occasione dell’8 marzo, la cantante ha toccato temi sociali estremamente sensibili, come il corpo femminile e la dimensione di pretesa di standard che la società ha su di esso. Si è così confessata senza troppi filtri: “Ho ricevuto bodyshaming nella mia carriera molto spesso ma fortunatamente sono una donna con le spalle larghe, ho combattuto nella vita con i draghi a tre teste, quindi l’insulto sull’aspetto fisico non mi tocca. (…) Sto bene con la mia faccia, con i miei capelli, con il mio modo di muovermi e stare sul palco.” E aggiunge: “Mi dispiace perchè ci sono persone fragili che non reggono bene il colpo e si creano anche dei danni di disturbi comportamentali, di frustrazioni che devono essere combattute.” Una riflessione sull’estetica e su quanto i canoni sociali possano generare una pressione psicologica notevole. I dati forniti dal Sole 24ore lo confermano:
in Italia l’8-10% delle ragazze soffrono di anoressia o bulimia, inoltre ad esserne colpita è principalmente la popolazione femminile: il 90% di chi soffre di tali disturbi è di sesso femminile rispetto al 10% di sesso maschile.
Conoscere il racconto di disagi e preoccupazioni di una parte sociale, peraltro decisamente consistente (tre miliardi e duecentoquindici milioni nel mondo, secondo i dati forniti dall’enciclopedia Treccani) è fondamentale per comprendere in che direzione si possa procedere, nell’ottica di una società maggiormente civile, evoluta e paritaria.
Avere il coraggio dunque di tendere l’orecchio, poggiare lo sguardo, comprendere una battaglia, è proprio la chiave che ci rende essere umani: l’ accorgersi degli affanni dell’altro e dell’altra, con il semplice ausilio di uno strumento a disposizione di tutti, ma mai banale, l’empatia.
foto Alamy