Fragilità e desiderio di controllo: le motivazioni profonde che alimentano il bullismo
Dal mondo – Il bullismo nelle scuole è un fenomeno dilagante di cui non si parla mai abbastanza, è in costante crescita tra i giovani e purtroppo sta coinvolgendo sempre più anche i bambini piccoli.
Consiste in comportamenti aggressivi che hanno radici profonde nella psicologia e nelle dinamiche culturali e possono sfociare in atti di prepotenza, violenza fisica, verbale e psicologica. Quest’ultima, difficilmente identificabile, rappresenta un’azione subdola che agisce sia sulla psiche che sull’autostima della vittima, provocando gravi conseguenze anche per l’intero ambiente educativo.
Spesso il bullo non agisce in modo malizioso o aggressivo senza motivo; dietro le sue azioni si cela un complesso intreccio di esperienze familiari e di dinamiche psicologiche, nonché di influenze sociali.
Un aspetto particolarmente rilevante riguarda il ruolo della famiglia.
È proprio all’interno delle mura domestiche che i bambini e i ragazzi apprendono i primi modelli di comportamento, quelli che poi si rifletteranno nelle loro interazioni sociali. Una famiglia disfunzionale, caratterizzata da conflitti, mancanza di comunicazione o da modelli educativi rigidi e autoritari, può contribuire a stimolare comportamenti aggressivi, e in alcuni casi, i genitori, pur essendo consapevoli della violenza o della prevaricazione del proprio figlio, tendono a minimizzare o giustificare questi atteggiamenti, credendo che siano espressione di forza o di determinazione.
In altri casi, la famiglia può agire come un microcosmo in cui i conflitti irrisolti, le “disuguaglianze di potere” generate da una matrice patriarcale o le aspettative eccessive verso i figli portano alla formazione di un adolescente problematico, il quale potrebbe sviluppare una visione distorta dei rapporti interpersonali, cercando di affermarsi sugli altri per compensare il senso di insicurezza o semplicemente per rispondere a pressioni esterne. Crescere in un ambiente in cui non viene insegnato il rispetto per gli altri e la gestione delle emozioni, la violenza o la competizione sono normalizzate e interiorizzate come modalità accettabili necessarie per ottenere attenzione e approvazione.
In altre situazioni ancora, il giovane potrebbe non aver sperimentato direttamente violenza, ma può aver visto in casa modelli di risoluzione dei conflitti che non favoriscono la comunicazione pacifica o l’ascolto, bensì l’imposizione del proprio punto di vista. Questo tipo di educazione, spesso inconsapevole, può rafforzare la convinzione che dominare gli altri sia il modo migliore per “affermarsi” nella società.
Ne consegue, indipendentemente dalle cause che possono dare origine al fenomeno, che il bullo sviluppi la capacità di manipolare la percezione che gli altri hanno di lui. Il comportamento da “lupo travestito da agnellino” rappresenta una strategia psicologica di manipolazione che adotta per mascherare la sua aggressività e farsi percepire come una persona innocente o vulnerabile, e mentre infligge dolore e umiliazione alla vittima, al contempo si presenta come “qualcuno” che subisce ingiustizie o che reagisce in modo esagerato a situazioni di conflitto.
Questo meccanismo di difesa, potrebbe permette al bullo di evitare le conseguenze negative del suo comportamento, in quanto, se percepito come una vittima o come un individuo che reagisce a una provocazione, riesce a mantenere il controllo sulla situazione, manipolando le opinioni degli altri e proteggendo la sua immagine. Cerchera’ persino di convincere le persone attorno a lui che le sue azioni siano giustificate, provando a trasformare il conflitto in una lotta di sopravvivenza o di giustizia.
Di fondo, la capacità di manipolare le percezioni altrui è legata a una profonda insicurezza e a una difficoltà nel gestire le proprie emozioni. Non sempre è consapevole del danno che causa alle sue vittime, e il nascondersi dietro una facciata di innocenza, gli consente di non confrontarsi con le proprie vulnerabilità. Il bisogno di approvazione sociale e di rafforzamento del proprio status lo porta a mantenere questa maschera che lo aiuta a ottenere il riconoscimento desiderato senza doversi confrontare con le sue reali fragilità.
Fondamentalmente può essere visto come una persona che ha difficoltà a gestire rabbia e frustrazione, e questo senso di malessere, che non trova una via di sfogo sana, si traduce in comportamenti aggressivi e in atti di prevaricazione verso chi, e’ percepito come più debole.
Il fenomeno del bullismo quindi non nasce da nulla, ma è il risultato di una serie di dinamiche sociali e psicologiche complesse. Da un lato, il comportamento del bullo può essere interpretato come una risposta a una serie di insicurezze e a una necessità di affermazione sociale, dall’altro, può essere visto come il prodotto di un contesto culturale che premia la forza e la competizione a scapito della cooperazione e del rispetto. Il desiderio di appartenere a un clan e di essere riconosciuti come individui “forti” o “superiori” spinge i ragazzi ad agire come parte di un gruppo, mostrano il desiderio di integrarsi, di impressionare i coetanei o di ottenere uno status all’interno della propria cerchia. Diventa evidente pertanto, che non agisce solo per sé, ma in risposta a quelle aspettative sociali che promuovono “l’affermazione” solo attraverso la dominanza sugli altri.
Il bullismo nelle scuole non può essere affrontato come un fenomeno isolato, ma deve essere compreso come il risultato di un intreccio di fattori psicologici, familiari e sociali che influenzano profondamente le dinamiche di comportamento tra i giovani. È fondamentale adottare metodiche che coinvolgano non solo gli studenti, ma anche le famiglie, gli educatori e le istituzioni. In primo luogo, è essenziale promuovere tra le mura domestiche modelli educativi positivi, basati sulla comunicazione aperta, sull’ascolto reciproco e sul rispetto dei sentimenti e delle differenze. Le scuole, d’altro canto, devono diventare luoghi sicuri dove si favoriscono la cooperazione e l’inclusione, e dove vengono adottate politiche di prevenzione e di intervento tempestivo. Allo stesso tempo, è cruciale sensibilizzare i giovani riguardo le conseguenze devastanti, non solo per le vittime, ma anche per chi perpetra tali violenze, in quanto comportamenti lesivi verso persone più fragili, non sono mai la soluzione per scongiurare le proprie insicurezze. Gli interventi non devono limitarsi alla punizione, ma devono puntare a un vero e proprio processo educativo che permetta ed insegni ai giovani di affrontare e comprendere le proprie emozioni, sviluppando una maggiore empatia oltre alla capacità di risoluzione dei conflitti in maniera non violenta, quindi diviene necessario agire non solo sui singoli comportamenti, ma anche sulle dinamiche sociali che si creano all’interno del gruppo stesso al fine di promuovere il rispetto reciproco e l’inclusività. Per contrastare e prevenire il fenomeno tra gli studenti si richiede l’impiego di approcci teorici e pratici integrati, che coinvolgano non solo educazione e supporto psicologico ma anche prevenzione attraverso interventi legislativi mirati. Dal punto di vista normativo, si è reso necessario un intervento efficace attraverso leggi che propongono misure di rafforzamento delle politiche scolastiche anti-bullismo, e che mirino a sviluppare ulteriori programmi di sensibilizzazione e formazione. Infine, una gestione adeguata dell’attività didattica può svolgere un ruolo determinante nel prevenire situazioni di prevaricazione, contribuendo a creare un ambiente scolastico in cui ci si senta al sicuro e rispettati.