di Camilla G. Iannacci

Il risultato elettorale negli Usa – non previsto da politologi, commentatori e men che mai (e non sia mai) dai sondaggisti – dal momento che non piove dal cielo è ovvio e ragionevole convenire che sia il precipitato di processi che hanno attraversato il sociale, l’economia, la cultura e non per ultimo, il nostro secondo habitat che si fonde con quello, una volta, naturale: la tecnologia, le sue applicazioni ed usi in politica.

Le tecno-democrazie: Big Tech e Trust

Si potrebbe parlare, in relazione alle varie forme statutarie di tecno-democrazie, tecno-democrature e tecno-autocrazie che vedono protagonisti in politica le Big Tech e trust sempre più di pochi privati.

Da molte parti, con dati alla mano, si fa notare che negli Usa i redditi, i mercati azionari e il Pil hanno conosciuto una crescita con in più un netto calo della disoccupazione e si aggiunge che l’inflazione attestata al 20% –  con cui i consumatori fanno i conti ogni giorno – abbia determinato una sconfitta senza pari per i democratici anche se si aggiunge che fosse in forte calo.

La sola inflazione non può fungere da capro espiatorio e rifugiarvisi non consente di riflettere sul voto: facile fare gli analisti ex post enfatizzando, poi, un solo dato è disarmante.

Il progetto di Trump

The Heritage Foundation, think tank repubblicano, ha elaborato il Presidential Transition Project 2025 che propone un’agenda e un programma politico che attraversa ogni campo: dall’economia alla cultura con particolare attenzione alle idee o se si preferisce alle ideologie cui fanno riferimento molte fasce sociali e che sono il bacino elettorale di un partito repubblicano che si declina e si riconosce senza esitazioni nei temi portati avanti da Trump.

L’insediamento sociale repubblicano è trasversale – e da tempo – sarebbe bastato solo questo per auspicare da qualche analista un pronostico aderente al risultato elettorale che ha sorpreso tutti a riprova ulteriore che non serve far affidamento ad algoritmi e AI o sondaggi per interpretare la realtà in cui vivono le persone.

Le tentazioni per i leader

Non è la prima volta, nella storia – è lecito citare il nazifascismo o dobbiamo sempre glissare? Senza dimenticare il trentennale del populismo italiano – che un candidato alle elezioni si presenti con parole nette e nel caso di Trump con un linguaggio rude (per non dire di più) a garantire la risoluzione di problemi vitali quali la povertà, l’inuguaglianza, il crollo del welfare e la gestione dell’emigrazione.

Assimilare temi e linguaggi prossimi all’elettorato permette l’identificazione con esso: la conditio sine qua non per garantirsi il voto e, soprattutto, da parte di fasce sociali che da tempo non si riconoscono più in quello che era, per loro, il campo progressista.

Un ritorno ai fondamentali

Un ritorno ai fondamentali, ai dati dell’economia, ad un’analisi su credenze e valori, programmi e azioni politiche ovvero un ascolto delle persone in carne e ossa, s’impongono: Sarà così?

Forse no, a sentire parlare ancora i democratici italiani di 9 euro a fronte di una catastrofe (nel senso di rivolgimento alla René Thom).

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