Quando, qualche anno fa’, ho avuto modo di recarmi a Berlino, io cresciuto in tempo di guerra fredda, nel rispetto degli accordi di Yalta, davanti al muro abbattuto, mi sono seduto a contemplarlo con silenzioso stupore, perché nella mia mente e nel mio cuore si affollavano tutte le emozioni che quel muro aveva generato in me, per quello che aveva significato per la mia generazione.
La divisione del mondo, la impossibilità di incontrare l’altra parte dell’Europa, i ragazzi e i giovani oltre cortina, la mancanza di libertà e il pericolo per la libertà, la paura della guerra, ma soprattutto l’impossibilità di abbattere la barriera che ci divideva e segnava un limite invalicabile, una barriera che sanciva il fallimento della speranza di una umanità rinnovata, di pace, di giustizia.
Per decenni quelli della mia età hanno considerato quel muro un fallimento dell’uomo del ventesimo secolo, fino a quando quel muro non sarebbe stato abbattuto nessun uomo avrebbe potuto ritenersi autenticamente libero e realizzato.
Quando il 9 novembre del 1989 apprendiamo, dalla televisione, della caduta del muro siamo stati colti di sorpresa, nessuno dei tanti giornalisti inviati, di Tv e giornali, aveva immaginato, fino ad un minuto prima, ciò che sarebbe accaduto, con lo sgretolarsi di quella barriera, dietro una spontanea e inarrestabile voglia di liberta.
Una gioia immensa, una vittoria per l’umanità, una conquista, come lo sbarco sulla luna, che dimostrava come il desiderio di un mondo migliore era possibile, non era solo una utopia ma una certezza.
A distanza di decenni, dopo momenti di grande euforia, con il disarmo bilaterale dei due blocchi, l’unificazione della Germani, l’Europa allargata ai paesi dell’Est,
con le frontiere aperte, la possibilità di viaggiare, confrontarsi, commerciare, con una era di pace e unità che si affaccia all’orizzonte, oggi ci ritroviamo piombati, improvvisamente, anche questa volta senza che gli illustri inviati, del mondo della informazione, si fossero accorti di nulla, in una nuova e assurda guerra.
Tutte le speranze, nate dopo la caduta del muro di Berlino, sembrano infrangersi davanti a questo assurdo e drammatico conflitto alle porte di casa nostra, tra la Russia e l’Ucraina.
E allora quello che sembrava la realizzazione di un sogno ritorna ad essere una utopia, una di quelle utopie che hanno accompagnato i ragazzi degli anni sessanta.
Quell’aria che sapeva di bello, di nuovo, di cambiamento, di giustizia, di pace, che avevano respirato i nostri polmoni, e aveva alimentato le emozioni del nostro cuore, il nostro pensiero e la nostra voglia di combattere, sembra oggi irrespirabile.
Ancora una volta tocchiamo con mano il fallimento di vedere realizzato il mondo giusto e buono pensato da ideologi, immaginato da filosofi, sognato dai giovani.
Si perché oggi scopriamo che il vero muro, la vera barriera che ci impedisce una vita piena, realizzata, non è fatto di pietra, ma è dentro noi, dentro il cuore di ogni uomo,
Un muro che ci impedisce di passare all’altro, di entrare in comunione profonda nella libertà.
E’ il muro dell’egoismo, il muro che ci impedisce di cogliere il senso profondo dell’essere, è il muro che non ci lascia comprendere il significato del dolore, della malattia, della morte, è il muro che non ci lascia guardare al cielo, che ci relega in un ambito stretto, senza la possibilità di vedere l’orizzonte, ammirare un alba, un tramonto.
E’ questo il vero muro, che sempre è esistito e sempre esisterà , a cui la politica è chiamata a guardare, preoccupandosi non solo dei bonus, delle pensioni, del pil, ma di dare un respiro ampio che rappresenti una visione antropologica in cui l’uomo trovi lo spazio vitale.
Quello spazio in cui la vita, le gioie, il dolore delle persone trovino un posto centrale, uno spazio in cui il respiro della politica sia il respiro dei principi non negoziabili, inscritti nelle leggi della natura.
In un memorabile discorso del 18 marzo del 1968 Robert Kennedy , poco prima di essere ucciso, afferma “ il pil non tiene conto della salute delle nostre famiglie, della qualità della loro educazione o della gioia dei loro momenti di svago…non comprende la bellezza della nostra poesia o la solidità dei valori familiari…il pil non misura né la nostra arguzia né il nostro coraggio, né la nostra saggezza né la nostra conoscenza, né la nostra compassione né la devozione al nostro paese. Misura tutto, in breve, eccetto ciò che rende la vita veramente degna di essere vissuta”
Questa la sfida che la politica italiana è chiamata ad accogliere, indipendentemente dagli schieramenti, questa la grande sfida per tutti quei cattolici che hanno accolto la vocazione alla politica e vogliono testimoniare la bellezza di una vita spesa per amore, per il bene comune.
Dr.Giuseppe Failla