di Giuseppe Failla

Le recenti elezioni liguri, con la cocente ed inaspettata (non per me) sconfitta del “ campo vario” come qualcuno l’ha battezzato, ha riacceso il dibattito sul futuro dello schieramento progressista in Italia.

Mi preme sottolineare come illustri giornalisti, del piu’ diffuso quotidiano italiano, mi riferisco al Corriere della Sera ovviamente, si siano cimentati in questa analisi, ragionando sul perché di un risultato elettorale, di una delle piu’ piccole (demograficamente parlando)  regioni italiane.

Ho avuto la fortuna, anagrafica, di conoscere la sinistra di questo paese nel periodo del suo massimo splendore, di incontrarla nelle manifestazioni studentesche degli anni sessanta e settanta, nella contestazione ad un sistema che sembrava logoro, vecchio, incapace di cogliere le novità del tempo, perchè prigioniero di uno schema ormai privo di fascino.

Essere di sinistra significava in quegli anni volere un cambiamento che avesse al centro la libertà,  quella che sentivi esplodere dentro il cuore, che si manifestava nella voglia di rivoluzionare il mondo, di cambiare tutto.

Ci lasciavamo alle spalle uno schema antico, la voglia di nuovo, di giustizia andava oltre le lotte sindacali, una umanità nuova si affacciava all’orizzonte.

Una grande sfida che, soprattutto nel nostro paese, solo la sinistra marxista ha saputo raccogliere, sinistra ancorata ai grandi consensi del PCI, e forte del pensiero Gramsciano, con la geniale intuizione dell’intellettuale organico e dell’ egemonia culturale, come via maestra per conquistare il potere e governare la società.

Sfida che quella sinistra ha portato avanti, con intelligenza, coniugando le lotte operaie con i movimenti studenteschi.

Utilizzando, tradendo nello stesso tempo, quell’egemonia culturale pensata da Gramsci, come supporto, come strumento di lotta politica, emarginando tutto ciò che era altro, in campo letterario, cinematografico, musicale, preparandosi a governare prima le regioni e poi il paese, controllando le piazze, le fabbriche, l’informazione, la scuola e tanto altro ancora.

La caduta del muro di Berlino toglie un ancoraggio forte a questa sinistra, sdogana  in Italia tutto quel mondo legato al socialismo  di matrice non marxista, che trova in Bettino Craxi (erede di Nenni) e nel gruppo dei nuovi dirigenti del PSI un riferimento culturale, una guida politica.

Il PCI si trova al bivio, finito il tempo dei blocchi contrapposti si apre il campo per una grande sfida, che va oltre le battaglie sindacali, la lotta di classe.

Occorrerebbe una rifondazioni su basi diverse, ci prova Occhetto, poi D’alema, poi Veltroni, ma nessuno è mai  stato capace di offrire una vera autentica revisione, che riconoscesse gli errori storici, ed aprisse veramente le porte a quello che si incontrava con il cuore dei giovani di un tempo, il desiderio di autentica libertà nella verità, senza strumentalizzazioni ideologiche, insomma una  sinistra liberale e non solo libertaria.

Il progetto di Craxi era quello di arrivare ad un ribaltamento dei rapporti di forza con il partito comunista, come era accaduto in Spagna e in Francia, dove i socialisti erano potuti arrivare al governo senza mettere in crisi gli accordi di Yalta.

Craxi mette in atto politiche economiche di stampo social democratico, viene abolita la scala mobile, ridotto il potere di interdizione del sindacato, apre alle infrastrutture (ponte sullo stretto) alla parità scolastica, (buono scuola) dialoga con il mondo cattolico, con Comunione e Liberazione,  in un momento in cui la chiesa era guidata da un pontefice che conosceva bene il comunismo con i suoi effetti devastanti per l’uomo.

Il tentativo di Occhetto di affrancarsi dalla falce e martello, genera una scissione nel partito comunista, con Bertinotti e Cossutta e la loro “Rifondazione comunista”.

Alle elezioni politiche del 1992, senza piu’ lo spauracchio della guerra fredda, il voto perde la polarizzazione DC/Pci e si ridistribuisce negli altri partiti, Craxi è ad un passo dal ex PCI, ormai al 16% rispetto al 13 % dei socialisti.

Socialisti che insieme ai repubblicani, ai social democratici e ai liberali, potevano immaginare un governo da loro guidato con l’ex Pci di supporto.

Craxi si adopera per fare entrare Occhetto e i suoi nel partito socialista europeo, e l’alternanza in Italia sembra pronta, non saremmo ”morti democristiani”.

E invece, incredibile dictu, l’inaspettato è dietro l’angolo, scoppia a ciel sereno, tangentopoli, inchieste e denunce a valanga, che vedono soprattutto al centro delle indagini quello che era stato il famoso CAF (Craxi, Andreotti, Forlani) manette a volontà, ricordate il povero Carra, che non era accusato come altri di violenze fisiche.

Non solo tangentopoli, ma le stragi di mafia, le dimissioni traumatiche di Cossiga, dalla presidenza della repubblica, i referendum di Segni, la nuova legge elettorale, insomma la fine di un sogno, la fine del sogno di una sinistra laica, moderna, di non matrice marxista, aperta al dialogo, capace di anteporre sempre il bene comune agli interessi ideologici.

Il terzo millennio ci consegna un blocco moderato capace di schierarsi con Berlusconi, Renzi, Salvini, Meloni pur di tenere lontani gli eredi del Pci dal governo, e dall’altra parte gli ex comunisti con i nipotini della grande Dc di De Gasperi, Moro, Fanfani.

Uno schieramento cattocomunista, che sopravvive contando sul voto del blocco dei garantiti, dei pensionati della CGIL e degli eredi dei radicali, e sul sostegno dei fedelissimi della stampa, del mondo dello spettacolo e della cultura, insomma un partito che rappresenta la borghesia dei quartieri ricchi delle nostre città, degli intellettuali radical chic, incapace di dialogare con il popolo, anzi il popolino.

Avremmo voluto altro, ci saremmo aspettati altro da un passato storico ricco, Togliatti, Gramsci, Berlinguer, avrebbero meritato altro, stiamo ancora aspettando, Godot, che tutto è tranne che un armocromista.