Nello sprint finale pre-voto i due candidati corteggiano tenacemente il voto dei cristiani. Per un sondaggio Trump si aggiudica più del 50% dei loro voti
Con presenze a “colazioni di preghiera” e riferimenti frequenti alla loro fede e ai loro valori, nello sprint finale pre-voto i due candidati alla Casa Bianca corteggiano tenacemente il voto dei cristiani americani, in particolare cattolici, che quest’anno potrebbero essere «decisivi per l’esito delle elezioni». Non sarebbe la prima volta, perché negli Stati Uniti il voto dei fedeli a Roma conta. Prima di tutto per la sua dimensione, rappresentando quasi un quarto (il 23%) della popolazione statunitense. Ma anche perché i cattolici hanno la particolarità di fare da barometro delle tendenze dell’elettorato generale: da almeno sessant’anni, infatti, l’aspirante presidente che li conquista trionfa. Le preferenze dei cattolici hanno cominciato a pesare nel 1960, quando i democratici nominarono John F. Kennedy nonostante i forti sentimenti anti-cattolici vivi all’epoca nel Paese e vinsero la loro scommessa: Kennedy vinse la presidenza, grazie anche a otto voti cattolici su dieci. Negli anni successivi gli sforzi repubblicani per conquistare i cattolici, che per alcune elezioni rimasero fedeli ai democratici, si moltiplicarono, tanto che nel 1980 Ronald Reagan strappò il 47% del consenso dei cattolici contro il 43% di Jimmy Carter. Quattro anni dopo aumentò la sua quota al 56%. Ma, in media, i cattolici americani sono rimasti un blocco tendenzialmente più vicino ai dem, intesi come partito degli operai, dei sindacati, degli immigrati e delle minoranze. Questa identificazione di valori si è erosa nel tempo, soprattutto a partire dal 2000, mentre cambiava il profilo demografico dei cattolici Usa e il loro voto diventava meno prevedibile
Giacomo Marcario
Editorialista de Il Corriere Nazionale