Nel 1959, la rivoluzione cubana portò al potere Fidel Castro, che instaurò un regime comunista sostenuto dall’Unione Sovietica. Questo deteriorò i rapporti tra Cuba e gli Stati Uniti, culminando nell’invasione fallita della Baia dei Porci nel 1961, quando gli Stati Uniti tentarono di rovesciare Castro. In risposta, Castro rafforzò i legami con l’URSS, guidata da Nikita Krusciov. 
Krusciov decise di posizionare missili nucleari a Cuba come deterrente contro un’ulteriore invasione americana, compensando anche il vantaggio strategico che gli Stati Uniti avevano con i loro missili piazzati in Turchia e Italia, vicini ai confini sovietici.
Il 14 ottobre 1962, un aereo da ricognizione americano U-2 scoprì le basi missilistiche sovietiche in costruzione a Cuba. Quando il presidente John F. Kennedy venne informato, il 16 ottobre, iniziò una fase di intense consultazioni all’interno della sua amministrazione, nota come ExComm (Executive Committee of the National Security Council).
Il 22 ottobre, Kennedy annunciò alla nazione, con un discorso televisivo, la presenza dei missili sovietici e dichiarò una “quarantena” navale intorno a Cuba, una sorta di blocco per impedire l’arrivo di ulteriori armi sovietiche. Chiese anche la rimozione immediata dei missili già installati.
Per diversi giorni, la tensione tra le due superpotenze raggiunse livelli estremi. Navi da guerra statunitensi e sovietiche si avvicinarono pericolosamente al confronto diretto. I leader di entrambe le nazioni, Kennedy e Krusciov, scambiarono messaggi segreti e pubblici per cercare di risolvere la situazione.
Il mondo intero temeva una guerra nucleare, poiché sia gli Stati Uniti sia l’Unione Sovietica disponevano di arsenali nucleari enormi. La crisi sembrava destinata a sfociare in un conflitto quando, finalmente, il 27 ottobre 1962, fu trovato un compromesso: Krusciov accettò di ritirare i missili da Cuba in cambio della promessa di Kennedy di non invadere Cuba. In segreto, Kennedy accettò anche di ritirare i missili americani dalla Turchia, anche se questo accordo non venne reso pubblico immediatamente.
La crisi segnò un punto di svolta nella Guerra Fredda. Entrambe le superpotenze compresero il pericolo di una escalation nucleare incontrollata e avviarono sforzi per migliorare la comunicazione diretta tra i loro leader, con l’istituzione del famoso telefono rosso, una linea diretta tra Washington e Mosca.
 
Il prestigio internazionale di Kennedy aumentò, poiché era riuscito a risolvere la crisi senza entrare in guerra.
Krusviov, invece, fu criticato internamente per aver apparentemente ceduto alle pressioni americane, e ciò contribuì alla sua caduta dal potere nel 1964.
Ma gli storici non valorizzano, quanto meriterebbe, l’incessante attività, in quei giorni, di Papa Giovanni XXIII sia in termini di  mediazione che di pressione sul Presidente Kennedy che, non è da dimenticarsi, fu il primo Presidente degli Stati Uniti di religione cattolica. 
Giovanni XXIII diffuse, il 25 ottobre 1962, 
via radio e in tutto il mondo, un accorato appello per la pace che provocò sensazione e reazioni positive. 
Se gli storici sottovalutano il ruolo di Giovanni XXIII, invece Nikita Krusciov lo riconobbe inequivocabilmente, tanto che nel 1963, posto che non erano tempi idonei ad un incontro tra i capi sovietici e il Papa, mandò a Roma in visita al Vaticano sua figlia Rada col marito Alexej Adiubej e con un messaggio di ringraziamento al Papa. 
La Crisi dei missili di Cuba resta uno dei momenti più studiati della storia della diplomazia e della sicurezza internazionale, simbolo dei rischi connessi alla corsa agli armamenti nucleari e alla rivalità tra le superpotenze.
Francesco Magisano 
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P.s. questa è storia che che ho vissuto da vicino ed è bene diffondere
Antonio Peragine