La regista Susanne Bier, dopo Undoing, torna a dirigere Nicole Kidman in un giallo che coinvolge la tipica e – apparentemente – perfetta famiglia ricca americana, in una serie Netflix creata da Jenna Lamia, già sceneggiatrice per serie come 90210 e Good Girls.

Basata sull’omonimo best-seller di Elin Hilderbrand, la serie in 6 episodi è una radiografia della famiglia Winbury, in pieno splendore glamour in occasione dei festeggiamenti maniacalmente organizzati nella sontuosa villa di Nantucket per celebrare le nozze di  Amelia (Eve Hewson), ragazza di modeste origini, e Benji (Billi Howle), secondo genito di Greer Garrison Winbury (Nicole Kidman), affermata scrittrice di romanzi rosa, e Tag (Liev Schreiber), eterno rampollo di fatto nullafacente. 

Durante la festa prematrimoniale conosciamo tutti gli invitati-personaggi: c’è il fratello maggiore di Benji, Thomas (Jack Reynor) con la cinica moglie incinta Abby (Dakota Fanning), Will (Sam Nivola) il più giovane Winbury,  Shooter il migliore amico di Benji (Ishaan Khatter), la damigella d’onore di Amelia (Meghann Fahy) e la strampalata amica di famiglia Isabel (Isabelle Adjani).  Il giorno seguente, i postumi goliardici vengono traumatizzati dalla scoperta di un cadavere di uno degli invitati fluttuante nelle acque dell’oceano. Ed ecco che scatta l’impianto del tipico romanzo giallo: chi sarà l’assassino? Scoprirlo sarà compito del capo della polizia Dan Carter (Michael Beach) e della mascolina detective Nikki (Donna Lynne Champlin), tenace nel suo lavoro ma drasticamente fuori dal contesto radical chic.Gli interrogatori vengono condotti nella classica stanza dove il sospettato ha il faro puntato in faccia, ed ognuno sarà torchiando da domande che sveleranno, come in un confessionale, il substrato melmoso di un contesto luccicante, dando sfogo ad antipatie soffocate, maldicenze da gossip ed intimi passati da espiare. Tutti possono essere i potenziali colpevoli, perché tutti hanno una qualche colpa, un passo falso che possa legarli al movente. I soldi questa volta non fanno credito.

Nonostante l’intreccio ed il cerchio nutrito di personaggi, nessuno di loro appare intrigante, a causa della loro stessa caratterizzazione ed un’interpretazione quasi distratta. Anche la Kidman, fatta eccezione per il suo outfit impeccabile, oramai è “cosa” già vista, rinchiusa in personaggi repressi, somatizzanti, ma alla fine sempre prevedibilmente risolutivi. La stessa rete di eventi che ad ogni carta svelata fa spostare il dito di colpevolezza verso uno di loro, è smagliata, quasi noiosa, preparandoci all’idea che il movente appaia talmente ovvio da renderlo scagionante.  

La regia e la sceneggiatura sembrano proporre in maniera maldestra una versione moderna della scrittura  riservata di diritto solo ad Agatha Christie, dove ognuno viene guardato con sospetto di fronte all’ennesimo particolare reso in gigantografia per appagare l’autostima investigativa anche dello spettatore più distratto.  I personaggi sono tanto benestanti quanto esistenzialmente frivoli, e questo sarà l’alibi di chi guarda nel poter provare il senso di invidia ma anche di celata soddisfazione nel vederne la disfatta.     

Ciò che la rende una serie da vedere è quello di occupare senza impegno le serate di fine estate, è il tono leggero con cui scorre la carrellata di azioni e dei protagonisti, talmente semplici da far scaturire una tenera ilarità, segno, forse, che l’autrice abbia voluto mantenere umilmente un basso profilo.

Insomma un giallo usa e getta dai toni sbiaditi.