Una mattinata d’eccezione, di fede, storia e cordialità grazie all’invito della Fondazione Duca e Duchessa di Valverde del Sovrano Militare Ordine di Malta sabato 28 settembre 2024
Occasione dovuta alla concessione del Santo Padre all’Arciconfraternita del Carmine di Taranto, per i suoi 350 anni dalla fondazione, della funzione di luogo giubilare
Monsignor Marco Gerardo dopo la Santa Messa ha illustrato i nuovi lavori eseguiti recentemente nella Chiesa della Madonna del Carmine
Dal XV secolo la Chiesa del Carmine domina il centro di Taranto, anzi prima era fuori le mura in piena campagna sulla Via Appia romana.
Vedendo le due facciate della Chiesa, una su Via D’Aquino e una su Piazza Carmine, ci siamo sempre chiesti se fosse una stravaganza architettonica in realtà, spiega don Marco, quella di Via D’Aquino è la facciata della prima Chiesa molto imponente all’esterno (secondo il vezzo spagnolo del meglio apparire) e molto piccola all’interno.
Nel XVIII secolo è stata ingrandita e l’ingresso posto sulla piazza
I lavori eseguiti recentemente hanno impegnato il rifacimento della pavimentazione curando particolarmente i colori, la creazione di uno spazio, appena si entra nella Chiesa, a destra per la fonte battesimale, mentre di fronte una porta si apre alla stanza del confessionale. Un simbolismo che sta a indicare che prima di arrivare all’altare, da una parte ci entri col battesimo e dall’altra rientri dopo aver espiato i tuoi peccati.
Una vera novità è rappresentata dalla roccia che ci riporta alla visita di San Pietro a Taranto
Nella prima cappella alla destra dell’ingresso veniva conservato un rocchio di colonna, sul quale la tradizione vuole che San Pietro abbia celebrato la prima Messa della città, come attesta un’epigrafe voluta nel 1651 dall’arcivescovo Caracciolo e posta sulla nicchia insieme ad un’icona raffigurante il santo; nei recenti lavori di ristrutturazione il rocchio è stato inserito nell’altare che riporta nel frontespizio in latino che questo altare è in perfetto connubio col ricordo del primo Papa.
Una ripresa della spiritualità in questo fine settembre, secondo don Marco che, commentando le letture di oggi (ieri ndr) e fa il raffronto fra il vecchio testamento e il vangelo di Luca.
Nella prima narrazione, legata al vecchio Testamento, c’è l’accettazione passiva della vita qual è senza futuro e qui cita Lorenzo de’ Medici “ del doman non c’è certezza”, e invece nel Vangelo di Luca si descrive Gesù che nel culmine della sua attività di fronte a discepoli felici e ammirati delle cose che stava facendo parla della fine dell’uomo, perché la morte rappresenta la rinascita della vita e l’amore.
Un discorso che Don Marco riferisce anche all’attività della Fondazione e a quanti si adoperano per gli altri, poveri e sofferenti, dove la morte campeggia come prospettiva ma, seguendo il discorso del vangelo, diventa la riscoperta dell’amore.
Insomma, qui don Marco è perentorio, di fronte alle difficoltà della vita o ci facciamo schiacciare o ci diamo la speranza di arrivare alla fine con amore.
Nella sua omelia fa riferimento ad alcuni episodi uno personale, quando ha verificato di avere avuto, circa un anno fa. a livello cardiaco problemi che lo distraevano dal lavoro parrocchiale per cui alla fine è stato costretto a raccontare in pubblico il suo percorso sanitario, o si rivolve con la medicina, o si risolve con la chirurgia, o con il padre eterno. Qui qualcuno all’epocà l’apostrofò bonariamente.
Altri episodi sottolinea il prete, durante il covid disabili con stampelle venivano a fare la raccolta per i poveri, e ancora, una quarantaduenne costretta per la SLA a vivere in un polmone di acciaio a chiunque la va a trovare dice come è bella vita.
Miracoli, sottolinea don Marco, persone fragili che si prendono cura di altri, una persona immobile che sparge speranza.
In conclusione il prof Francesco D’Ayala Valva, presidente della Fondazione, prendendo la parola ha ricordato quando a 18 anni aveva portato il Crocifisso nella straordinaria processione dei misteri di Taranto e poi parlando delle loro iniziative verso i bisognosi si è visibilmente commosso.
Noi partiamo per congedarvi da quella commozione, che diventa intelletuale, pervade ognuno e sarà anche effetto del sacro luogo, di Don Marco e della convivialità ci riporta a quella 42enne che bloccata par che dica “ma che dolcezza è la vita”.