Fatti non fummo per viver come bruti

Il Buco (El hoyo) è il primo lungometraggio di Galder Gaztelu-Urrutia, presentato nel 2019 in anteprima mondiale al Toronto International Film Festival, dove si è aggiudicato il Grolsch People’s Choice Award e nel 2020 ha conquistato i premi Goya e Gaudì per i migliori effetti speciali e miglior sceneggiatura per la scuola Holden al TorinoFilmFestival. 

Viene definito un film di fantascienza, distopico, thriller, ma se spostassimo l’obiettivo al di fuori della claustrofobica scenografia, diventerebbe un documentario che descrive il disastroso reale che l’essere umano è in grado di  riservare ai suoi simili.

Per “rinchiudere” l’attenzione dello spettatore in quelle dinamiche nevrotiche che si innescano quando ci si  sente come animali in gabbia, il regista sceglie di congestionare il film in un ambiente nucleare, un unico luogo che però è solo superficie: una prigione. Ma in questa non ci sono catene, sbarre e secondini, il tempo e lo spazio non restano immobili, anzi, sarà proprio il loro movimento a decretare la condanna.

Prima di entrare ognuno potrà portare con sé un oggetto. Le celle sono disposte su livelli che i detenuti ogni mese casualmente cambieranno e la loro nuova condizione li renderà “liberi” di scegliere e di agire… Un esperimento che li trasforma in cavie da laboratorio da studiare, analizzare, e quale miglior reagente se non il cibo? Ogni giorno una piattaforma scende dall’alto per fornire pietanze preparate da una brigata di chef stellati con dovizia ed abbondanza; man mano che scende ai piani bassi il cibo scarseggia, divorato con inutile tracotanza da chi ne ha in più, come maiali orwelliani incuranti del destino di chi è sotto di loro. La tavola diventa sempre più leggera di viveri, ma pesante abbastanza da schiacciare la dignitosa sopravvivenza di chi il destino ha messo lì, privato di quelle risorse che possano nutrire un pensiero sano; si può sprofondare nella disperazione di soccombere oppure provare  rivalsa verso coloro che fino a quel momento li aveva resi dei bruti.

Ma forse anche nel buio opprimente che disabitua alla luce e rende ciechi, si può accendere una fiamma che permette di scovare una via di fuga dalla rassegnazione e l’abitudine al disastro sociale, dove vivere diventa una lotta fratricida per sopravvivere, fatta di prede e predatori, comandanti e sudditi, potenti ed impotenti, “quelli di sopra, quelli di sotto e quelli che cadono”. 

La propria salvezza dipende da quella dell’altro, un piano strategico solidale dove ognuno fa la sua parte; sfuggire dalla tentazione di ingurgitare un’abbondanza momentanea che diventerà carestia futura. Prenderne quanto basta e il resto lasciarlo in caldo per chi verrà dopo di noi; solo così si potrà evitare il buco nero dell’estinzione fisica e morale.