Chi dice Munch dice Urlo – e fin qui, ci siamo. Non solo, però. Chi dice Munch dice anche infanzia luttuosa, malattia, isolamento, ricovero psichiatrico, angoscia esistenziale. Ma, ancora una volta, non solo. È questo il grande merito della mostra curata da Patricia G. Berman che accoglie a Milano presso Palazzo Reale 100 capolavori del genio norvegese: restituire, attraverso la nudità del percorso artistico, il “non solo”, quel bisogno tutto umano di Munch di mettere ordine nei ripostigli dell’io.

Nell’ottantesimo anniversario della sua scomparsa, Milano ha infatti deciso di celebrare il pittore norvegese offrendo ai visitatori un’occasione irripetibile. Potrete ammirare una delle versioni litografiche de L’Urlo, opere celeberrime come Disperazione, Il bacio, La morte di Marat, Le ragazze sul ponte, autoritratti dell’artista per tutti i gusti – Munch davanti al muro di casa, Munch all’Inferno, e via di seguito. Tutto questo fino al 26 gennaio del prossimo anno, quando la mostra approderà a Roma presso Palazzo Bonaparte (18 febbraio-2 giugno 2025).

Ma queste informazioni si possono facilmente reperire in rete. Veniamo, pertanto, a qualcosa di più esclusivo. L’iniziativa, come anticipato, ha il grande pregio di dare voce a sfaccettature inedite dell’artista. Un aspetto che mi ha molto colpito, nello specifico, è l’incontro di Munch con il cambiamento, ovvero la trasformazione. La sua esperienza artistica altro non può definirsi che un tentativo di risolvere un conflitto interiore a tratti irriducibile. Eppure, dopo l’esperienza di ricovero durata otto mesi, il pittore afferma che le molecole della sua anima avevano preso a pacificarsi, compra una casa fuori Oslo, si ritira a vita più serena. Comprende quindi appieno come il tentativo di conoscere e integrare ferite e zone d’ombra non sia solo il suo, ma appartenga ad ogni essere umano. Parlando della sua vocazione, si esprime in questi termini: «Attraverso la mia arte ho cercato di spiegare a me stesso la vita e il suo significato, ma anche di aiutare gli altri a comprendere la propria». Una missione – si direbbe – dal carattere universale, tanto che alla morte donerà le sue opere alla città di Oslo.

E qualcosa Munch lo ha donato anche a me, mentre mi aggiravo per i cunicoli del suo mondo, in quel di Palazzo Reale. Mi ha omaggiato di una meravigliosa Notte stellata (1922-1924), che ha brillato nel centro della sala e del mio cuore. Mi sono fermata, seduta, ho contemplato, commossa per il miracolo avvenuto: una piccola cellula di quel grande artista ha abitato in me, ho compreso qualcosa in più della mia vita, come desiderava.

Invitandovi a visitare la mostra, auguro anche a voi di vagare per Palazzo Reale alla ricerca della vostra opera del cuore, al cospetto della quale entrare in contatto con una parte di voi stessi. Di diventare, in altri termini, parte di un grido interiore che è sì quello di Munch, ma è anche quello di ciascuno di noi.

 

Giulia Tardio