Come in tutte le regioni d’Italia l’oliva in Basilicata è sfruttata soprattutto per fare l’olio, ma una parte di olive, quelle dette comunemente da tavola, si lasciano a maturare sugli alberi, destinata al consumo fresco a conferma di una tradizione con secoli di storia.

Nella dieta dei soldati greci e romani fin dall’antichità le olive conservate costituivano parte del rancio, servite nelle taverne e nei luoghi di ristoro come spuntino per rompere il digiuno nel corso della giornata o per accompagnare il bicchiere di vino, rappresentando così il primo tipo di snack della storia.

Percorsi storici che ci riportano all’Antica Roma dove ritroviamo Marco Porcio Catone (234 a.C.149 a.C.) soprannominato il Vecchio o il Censore, uomo politico romano nato da una famiglia di contadini ma di spirito pratico e buon agricoltore, amministrava i suoi interessi con un senso dell’economia che rasentava l’avarizia e secondo il principio che il proprietario deve vendere più che comprare come lasciò scritto nel trattato sull’Agricoltura, che dedicò un trattato per illustrare le tecniche di conservazione delle olive, sia verdi che nere, sia intere che spezzate, dalla salamoia alla semplice immersione nell’acqua, aromatizzate col finocchio secco che con i frutti di lentisco e, per gustarle e quindi venderle ancora meglio, passate al forno!

Una volta infornate vengono chiamate “olive morte”, che in Basilicata sono le olive di qualità “maiatica” al forno, famose quelle di Ferrandina (Mt) conservate con bucce di arancia e finocchietto.

Le olive nere che Edward Lear nel suo “Viaggio in Basilicata”del 1847 definisce “ le più piccole ma le più buone del mondo”. Le olive infornate, destinate al trattamento sono polpose e di colore nero, raccolte a completa maturità raggiungono una colorazione scura quindi poggiati su ripiani di legno ad appassire per una settimana.

Una volta fatte appassire vengono sbollentati in acqua bollente per qualche minuto per togliere i residui amarognoli, quindi scolate, salate e aromatizzate con origano e finocchio selvatico e messi a dimora in grossi vasi di terracotta dove si conservano per oltre un anno.

Serviti a tavola con salumi e formaggi stagionati ma presenti anche su insalata di arance, zuppe di zucca gialla, nelle carni sfritte oppure accompagna il baccalà in umido con cipolla e uva sultanina.

Sono in ogni caso ottime anche gustate da sole, sfritte in olio extravergine di oliva e finocchietto, oppure condite con olio extravergine di oliva, aglio fresco a pezzetti e scorze di arance. Le olive infornate rappresentano il chiaro esempio di un’antichissima metodologia di lavorazione, sembra quasi che con la sua conservazione in vasi di creta o di vetro scuro si racchiude e conserva anche il calore del sole e il profumo della terra.

La mitologia classica narra che fu la dea Pallade a donare l’olivo ad Atene, mentre nella realtà la pianta venne diffusa dai commercianti fenici fin dal 1500 a.C. nelle zone del nostro meridione, tra cui appunto l’attuale Basilicata. La tradizione agricola della coltivazione dell’olivo con la trasformazione del frutto in olio, la razionalizzazione delle pratiche agronomiche sugli olivi sicuramente si deve ai monaci Basiliani fin dal IX sec. d.C che incalzati dagli arabi approdarono nell’entroterra lucano e fondarono piccoli monasteri nelle montagne, lasciarono in eredità la pratica della concia delle olive utilizzando il “ranno”, liquido ottenuto dissolvendo una parte di calce viva con 5 parti di cenere di legno in acqua.

Gli abitanti della nostra regione hanno custodito, rispettato e continuato in modo quasi sacro la coltivazione dell’olivo. I metodi di preparazione delle olive sono cambiati ma da documenti risalenti al 1500 si risale all’antico trattamento della concia come metodo di conservazione, un trattamento a base di calce e potassa e successivamente sale per la conservazione delle olive, chiamate in dialetto “ndussa”.

Le tradizioni quindi raccontano non solo delle olive infornate ma anche di concia per diventare la regina tra le olive da pasto. Questo patrimonio di gusto e di piacere vive tutt’ora nel cuore della Basilicata.

Ma come si fa la concia?

Zi Gaetano me la racconta cosi: prendi 1 kg di olive, 1 kg di cenere di legna, 50 g di calce viva, acqua q. b., 1 cucchiaio di semi di finocchio, sale. Stempera la calce viva in una grossa bacinella di acqua,”la conca”, quindi aggiungi la cenere miscelando bene fino ad ottenere una specie di crema fluida. Lava le olive, asciugale e versa nella concia della bacinella. Dovranno restare nella concia per circa 1 settimana fino a che non si saranno ben ammorbidite. Ricorda di mescolarle una volta al giorno. Trascorsa la settimana, lavale e mettile in una bacinella d’acqua che va cambiata 3 volte al giorno per 5 giorni. Riponete quindi in un vaso di acqua molto salata, la giusta misura del sale è quando immergendovi un uovo questo resterà a galla, insieme al cucchiaio di semi di finocchio.

La concia è il risultato di un procedimento senza dubbio laborioso, ma serve per far addolcire il gusto amarissimo delle olive e di conservarle in salamoia per poi consumarle come si desidera. Bisogna aspettare almeno due mesi per poterle gustare. Successivamente se avete voglia e pazienza, eliminate il nocciolo, e li fate ripiene.

Le olive denocciolate anticamente venivano chiamate “alla giudea” perché prive dell’anima. Le leggende vaticane raccontano che papa Sisto V, unitamente a Principi e Cardinali, nel 1583, apprezzasse particolare piacere per le olive ripiene e si dice che personalmente provvedesse a farle spedire in Vaticano.

ricetta

Oliva ripiene dette all’ascolana

Ingredienti per 4 persone

20 Grosse Olive verdi

250g Carni miste macinate fine (manzo, maiale, pollo):

50g Prosciutto crudo:

50g Mortadella:

70 gGrana grattugiato:

1 piccola Cipolla: 1 piccola Carota:

1 costola Sedano:

1 rametto Prezzemolo:

Noce moscata

20g Mollica di pane:

1 Limone

Concentrato di pomodoro:1 cucchiaino

Uova: 3

Olio d’Oliva extravergine:

6 cucchiai

Farina e Pangrattato

Sale e pepe: quanto basta

Preparazione: Private le olive del nocciolo con un taglio unico a spirale sulla polpa, in modo da poter riprendere poi la forma originaria dell’oliva con il nastro di polpa riavvolto. Fate rosolare in una padella con poco olio le carni e le verdure fatte a pezzi grossolanamente, unitevi il concentrato diluito in poca acqua tiepida, salate e pepate: la carne non dovrà essere del tutto cotta. Eliminate quindi le verdure e tritate finemente il composto unendovi prosciutto e mortadella. Lavorate il composto con le spezie, un pizzico di scorza di limone grattugiata, un uovo, il prezzemolo tritato, la mollica bagnata e strizzata, il grana.

A questo punto fate in modo che le olive riprendano la forma originaria inserendovi il composto. Quindi infarinatele, passatele nelle uova sbattute e rigiratele nel pangrattato. Friggetele in abbondante olio d’oliva bollente, privatele dell’olio in eccesso sgocciolandole sulla carta assorbente, quindi servitele ben calde, a piacere accompagnate con fettine di limone. Ottime da servire sia come aperitivo, sia come antipasto che come contorno per carne alla brace!

■ Curiosita’ La ricetta e la preparazione delle olive all’ascolana, vennero in auge verso la fine del 1800, quando i cuochi delle famiglie nobili ascolane cominciarono a farcire le olive provenienti dai poderi padronali. Poiché era un piatto costoso e che richiedeva lunga preparazione, veniva preparato in occasioni particolari e per ospiti importanti.

Federico Valicenti 

Foto di Galina Afanaseva da Pixabay

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