IL vizio della memoria ! A novembre 2006 Alfonso Pegoraro Scanio ministro pro tempore dell’ambiente: “ Per la difesa del suolo nel nostro Paese, rispetto agli anni precedenti, c’è ormai una chiara inversione di tendenza. È l’opera pubblica più importante. Significa salvare vite umane, difendere l’ambiente, le città e salvaguardare anche le attività produttive sul territorio. I fondi servono per non dovere poi piangere i morti di frane e alluvioni”. Istituì tra il 2007 e 2008 “ l’Osservatorio nazionale per la difesa del suolo e la tutela delle acque con compiti di monitoraggio economico e tecnico degli interventi e opere di verificare la capacità di spesa degli enti sui finanziamenti concessi, e quindi il contributo fornito alla rapida messa in sicurezza del territorio e protezione dei cittadini e delle infrastrutture “-
Ci fu svolta? No! Di questa impostazione si perse ogni traccia.
Nel 2009 una alluvione colpì Messina e Provincia : 31 morti, 6 dispersi.
Nel 2012 Clini ministro dell’ambiente presentò un piano antidissesto del suolo “ costo 40 miliardi e da realizzare in 15 anni”.
A memoria degli attuali sbadati, la Gelmini ministro per arginare il numero di dipartimenti universitari, soppresse e accorpo con la clava chi studiava suolo e sottosuolo.
Gian Vito Graziano presidente del Consiglio Nazionale dei Geologi denunciava nel 2014“ Aumentano i danni per le estreme fragilità geologiche del nostro territorio e diminuiscono le occasioni di lavoro per i geologi che finiscono in liste d’attesa e spesso sono costretti a cambiare mestiere. A farla corta: avremmo bisogno di un esercito di geologi condotti impegnati in ogni comune nella verifica e redazione dei piani urbanistici, nell’aggiornamento delle mappe delle aree a rischio, nel sistema di previsione e pianificazione. E invece la geologia l’hanno cacciata sempre più ai margini dell’Università italiana. Dal 2000 al 2014, i professori ordinari di scienza della Terra sono franati del 45%, i dipartimenti di geologia sono crollati da 38 a 27”.
Tutto questo in un Paese dove il 91,1% dei comuni italiani sorge in un’area in cui il rischio di dissesto idrogeologico è notevole. La superficie delle aree classificate a pericolosità da frana medio-alta e/o idraulica di media intensità ammonta complessivamente a 50.117 chilometri quadrati, ed è pari al 16,6% del territorio nazionale.
Si tratta di zone in cui, a seguito di precipitazioni molto abbondanti, possono verificarsi frane o alluvioni, anche di ampie dimensioni.
A dirlo sono i dati raccolti nel rapporto Ispra sul dissesto idrogeologico. L’Italia è tra i paesi più interessati da fenomeni franosi in Europa, con un’area a pericolosità da frana alta, media, moderata e di attenzione pari al 19,9% del territorio nazionale (59.981 chilometri quadrati).
Per quanto riguarda, invece, le alluvioni, la superficie interessata con più frequenza ammonta a 12.405 chilometri quadrati (4,1% del territorio nazionale), mentre le aree a pericolosità media raggiungono i 25.398 chilometri quadrati (8,4%).
Toscana, Emilia-Romagna, Campania, Valle d’Aosta, Abruzzo, Lombardia, Sardegna e la provincia di Trento presentano le zone in cui il rischio di frane è più elevato.
Invece le aree a maggior rischio di alluvione si trovano in maggioranza in Emilia-Romagna, prima tra le regioni italiane, e con un certo distacco su Toscana, Lombardia, Piemonte e Veneto.
L’unica via per ridurre i danni arrecati da alluvioni e frane rimane la più scontata, ma incredibilmente anche la meno battuta: la prevenzione. La prevenzione è possibile attivando progetti di monitoraggio del territorio e di mitigazione del rischio idrogeologico. I progetti che vanno in questa direzione esistono, ma troppo spesso si sono fermati sotto la scure di qualche manovra finanziaria. La missione 2 del PNRR si riferisce a prevenire e contrastare gli effetti del cambiamento climatico sui fenomeni di dissesto idrogeologico e sulla vulnerabilità del territorio. Uno degli elementi chiave di questo ambito è l’investimento 2.1 che prevede 2,49 miliardi di euro per la gestione del rischio di alluvione e per la riduzione del rischio idrogeologico.
Le minacce dovute al dissesto idrogeologico in Italia, aggravate dagli effetti dei cambiamenti climatici, compromettono la sicurezza della vita umana, la tutela delle attività produttive, degli ecosistemi e della biodiversità, dei beni ambientali e archeologici, l’agricoltura e il turismo.
Per ridurre gli interventi di emergenza, sempre più necessari a causa delle frequenti calamità, è necessario intervenire in modo preventivo attraverso un ampio e capillare programma di interventi strutturali e non strutturali.
A interventi rivolti a mettere in sicurezza da frane o ridurre il rischio di allagamento nelle aree metropolitane, si affiancano misure non strutturali previste dai piani di gestione del rischio idrico e di alluvione, focalizzati sul mantenimento del territorio, sulla riqualificazione, sul monitoraggio e sulla prevenzione.
L’obiettivo è portare in sicurezza 1,5 milioni di persone oggi a rischio. Nelle aree colpite da calamità saranno effettuati interventi di ripristino di strutture e infrastrutture pubbliche danneggiate, nonché interventi di riduzione del rischio residuo, finalizzato alla tutela dell’incolumità pubblica e privata, in linea con la programmazione e gli strumenti di pianificazione esistenti.
Il Piano è una straordinaria opportunità per disegnare il futuro del Paese, ma agisce in un orizzonte temporale ben definito, che si concluderà nel 2026. Per questo, tra le riforme che il documento annuncia come necessarie a raggiungere gli obiettivi, vi è la semplificazione e accelerazione delle procedure per l’attuazione degli interventi contro il dissesto idrogeologico.
In generale l’investimento punta a rafforzare le misure di prevenzione attraverso un programma di azioni strutturali e non.
Le risorse stanziate sono destinate a progetti per ridurre il rischio di alluvioni e frane, mettendo in sicurezza i territori con interventi di riqualificazione, monitoraggio e prevenzione. Tale investimento poi si suddivide in 2 sotto-misure. La linea A, di competenza del ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica, prevede interventi nelle aree più a rischio con l’obiettivo di portare in sicurezza 1,5 milioni di cittadini. La linea B invece, è di competenza della protezione civile e prevede finanziamenti per il ripristino delle infrastrutture danneggiate da eventi calamitosi già verificatisi. Soldi, progetti, competenze, tutto identificato manca solo l’efficienza delle burocrazie e la responsabilità politica.