di Vincenzo Caccioppoli
Sono due i casi che hanno contraddistinto la settimana politica e tutti e due hanno a che fare tra il rapporto sempre piuttosto burrascoso tra politica e giustizia nel nostro paese.
Venerdì scorso un pò a sorpresa l’ex presidente della Regione Liguria, Giovanni Toti, di arrivare ad un patteggiamento con la procura, evitando un lungo e dispendioso processo. Toti non ha pubblicamente mai detto di essere colpevole, e anzi anche ieri è tornato a sostenere di essere innocente e ha commentato la sua decisione dicendo di avere sentimenti contrastanti per «l’amarezza di non perseguire fino in fondo le nostre ragioni di innocenza». In un’intervista al Corriere ha specificato che «fare un accordo non vuol dire necessariamente riconoscere le proprie colpe». Il secondo caso forse ancora più clamoroso riguarda invece la richiesta della procura di Palermo che ha chiesto 6 anni di reclusione per Matteo Salvini, per la sua decisione di non far attaccare per 19 giorni la Open Arms carica di migranti, nell’agosto del 2019, quando era ministro degli interni del primo governo Conte.
Due casi differenti ma che in qualche modo rappresentano il livello pericoloso di scontro che si sta aprendo tra magistratura e politica. Ma su questo le opinioni sono divergenti tra chi sospetta, non senza purtroppo qualche fondamento di verità soprattutto alla luce della politicizzazione di alcuni (pochi per fortuna) magistrati, una sorta di tentativo di colpire avversari politici con l’arma della giustizia. Altri invece sostengono che la magistratura è indipendente e si richiamano spesso alle teorie del grande pensatore illuminista, Montesquieu, che concepì la tesi della separazione dei poteri. Ma citare in questi casi come in altri nel nostro paese, il celebre filosofo rischia di essere un poco fuorviante. Perché nella sua opera monumentale “lo spirito delle leggi” Montesquieu testualmente scriveva “ non vi è libertà se il potere giudiziario non è separato dal potere legislativo e da quello esecutivo.
Se esso fosse unito al potere legislativo, il potere sulla vita e la libertà dei cittadini sarebbe arbitrario, poiché il giudice sarebbe al tempo stesso legislatore. Se fosse unito con il potere esecutivo il giudice potrebbe avere la forza di un oppressore”. Se è sacrosanto che debba esistere una netta separazione tra i tre poteri dello Stato, troppe volte nel nostro paese, questa separazione è stata assai labile, se non in certi casi assente. Questo perché uno sparuto gruppo di magistrati non riescono a distinguere il proprio lavoro con le idee politiche che legittimamente può e deve avere. basti pensare alle clamorose intercettazioni di Luca Palamara con il capo della Procura di Viterbo Paolo Auriemma, in merito alla vicenda Salvini Open arms (Auriemma scriveva in chat a proposito della linea sui “porti chiusi” di Salvini: “mi dispiace dover dire che non vedo veramente dove Salvini stia sbagliando”. E Palamara rispondeva: “Comunque va attaccato”).
Ma come dimenticare anche il caso della giudice Apostolico, presente ad una manifestazione pro migranti al porto di Catania, nell’agosto del 2018. La giudice poi ha preso decisioni proprio in merito al blocco dei migranti disposto dall’allora ministro degli Interni Matteo Salvini. Insomma, casi a dir poco sconvenienti, che certo non sono un esempio di grande trasparenza ed imparzialità da parte di questi giudici.
Il pm Ferrara ha sostenuto che l’ex titolare del Viminale ha violato tutte le convenzioni internazionali sul soccorso in mare: la convenzione delle Nazioni unite sul diritto del mare, quella internazionale per la salvaguardia della vita umana in mare (convenzione Solas), e infine la convenzione internazionale sulla ricerca ed il salvataggio marittimo (Sar) di Amburgo. Senza voler entrare troppo nel merito della vicenda processuale, si può però riconoscere che si tratta del primo caso in Italia, in cui per un ministro in carica, viene chiesto l’arresto per lo svolgimento delle sue funzioni, giusta o sbagliata che fosse quella decisione.
È proprio per difendere questo diritto di poter liberamente esprimere le proprie opinioni e i propri voti che nasce la garanzia costituzionale della immunità parlamentare. Ne sa qualcosa l’onorevole Salis, che dopo la sua elezione al parlamento europeo, è stata subito scarcerata proprio dal tribunale ungherese, proprio in nome della immunità prevista per gli eurodeputati. E certo le accuse nei suoi confronti non sono da poco conto. Processare un ministro nell’esercizio delle proprie funzioni, al di là di come la si pensi, rischia di creare un pericoloso precedente e pone dei dubbi sulle reali motivazioni che si nascondono dietro ad una richiesta della procura, che comunque la si voglia pensare, appare oltremodo spropositata
Su questo pericoloso crinale si rischia davvero un corto circuito le cui conseguenza potrebbero si inficiare la necessaria separazione dei poteri e mettere così a rischio lo stato di diritto.