© foto di SSC Bari
Il Bari esce da Genova con un pareggio che ha il sapore amaro della sconfitta, in una gara che ha visto i biancorossi dominare, ma senza riuscire a concretizzare la superiorità numerica e il controllo del gioco. Questo incontro, disputato nel suggestivo scenario di Marassi, nella città che ha dato i natali a Fabrizio De André, rappresenta l’ennesimo esempio di una squadra che non riesce a trasformare il potenziale in risultati concreti.
La partita si apre con una formazione decisa, un 3-5-2 che Longo ha scelto di schierare senza alcun nuovo innesto anche tenendo conto della mancanza del trequartista. L’inizio promette bene: il Bari prende subito l’iniziativa e crea diverse occasioni, tra cui un gol annullato a Lasagna per fuorigioco. Tuttavia, nonostante i segnali positivi, emerge presto un tema ricorrente: la difficoltà del Bari nel concretizzare le occasioni create. La Sampdoria, nonostante le difficoltà e una classifica impietosa, resiste stoicamente, affidandosi a una difesa solida e a un portiere, Vismara, in giornata di grazia: chissà quando gliene capiterà una simile. Nella storia è capitato spesso che il portiere avversario abbia fatto la gara della vita, salvo poi normalizzandosi successivamente.
La partita cambia volto al 34’, quando Vulikic viene espulso per una trattenuta su Lasagna. Con la Sampdoria ridotta in dieci uomini, il Bari sembra avere il controllo totale del match. Tuttavia, nonostante la superiorità numerica e un gioco più aggressivo, i biancorossi non riescono a sfondare. Il momento cruciale arriva con un rigore assegnato grazie al VAR per un tocco di mano in area sampdoriana, ma Lasagna spreca l’occasione, tirando debolmente e permettendo a Vismara di parare.
Nel secondo tempo, Longo tenta di cambiare le carte in tavola, inserendo Lella e Falletti per dare nuova linfa all’attacco. Ma la storia si ripete: il Bari continua a creare, ma non riesce a concretizzare. Coda, l’attaccante della Sampdoria, sfiora addirittura il gol con un pallonetto, mettendo in allarme la difesa barese. Il Bari continua a premere, con Lasagna e Manzari che provano più volte a sorprendere Vismara, ma il portiere blucerchiato si conferma insuperabile.
È in questo contesto che la gara assume i contorni di una tragedia greca, dove l’eroe, pur lottando strenuamente, è destinato a fallire a causa del fato avverso. In questo caso, il Bari è l’eroe tragico, capace di dominare ma incapace di affondare il colpo decisivo. A questo proposito, la citazione di Friedrich Nietzsche risuona significativa: “Ciò che non mi uccide, mi rende più forte.” Il Bari esce da questa partita con la consapevolezza delle proprie potenzialità, ma anche con la necessità di imparare dagli errori per trasformare il dominio territoriale in vittorie concrete.
L’epilogo della gara lascia un senso di incompiutezza. Il Bari, che ha mostrato segnali incoraggianti rispetto alla disastrosa stagione precedente, non riesce a scrollarsi di dosso i limiti che lo affliggono da tempo. Il pareggio ottenuto contro una Sampdoria in difficoltà non è certo da buttare, ma lascia l’amaro in bocca per le numerose occasioni sprecate. È evidente che la squadra sta crescendo, dimostrando una personalità più marcata e una maggiore voglia di lottare, ma è altrettanto chiaro che c’è ancora molto lavoro da fare.
La partita di oggi potrebbe essere definita come “la gara dei rimpianti”, un tema che richiama alla mente la citazione di Seneca: “È una grande consolazione sapere che non ci sono rimpianti nell’avere fatto il proprio dovere.” E il Bari, pur con tutte le sue imperfezioni, ha lottato, ha creato, ha cercato la vittoria con tutte le forze. Tuttavia, il calcio, come la vita, non sempre premia gli sforzi, e a volte il risultato finale è frutto di dettagli sottili, di episodi che sfuggono al controllo.
Questo pareggio rappresenta un passo in avanti nella crescita del Bari, ma anche un monito: non basta dominare il gioco, serve concretezza, cattiveria sotto porta, quella zampata vincente che trasforma una buona prestazione in una vittoria. La squadra è in fase di sviluppo, e Longo, la cui “mano” è già ben evidente, dovrà lavorare su questi aspetti per far sì che il Bari possa finalmente raccogliere i frutti del proprio lavoro. Le alternative in panchina, come Manzari e Falletti, lasciano intravedere un futuro meno grigio, ma è necessario continuare a crescere, imparando dagli errori e mantenendo la determinazione.
La speranza è che questo sia solo un passo verso una maturazione definitiva, in cui il Bari possa finalmente sfruttare tutto il proprio potenziale e regalare ai suoi tifosi le vittorie che meritano. Perché, come diceva Nietzsche, ogni battaglia persa non è altro che un’occasione per diventare più forti, a patto che si sappia imparare dai propri errori e si abbia la volontà di superare i propri limiti.
Massimo Longo