di Giuseppe Failla
Mancano pochi mesi e gli Usa eleggeranno il nuovo presidente, e anche questa volta, le elezioni americane hanno a che fare con il resto del mondo.
L’America così come abbiamo imparato a conoscerla, quelli della mia generazione, rappresenta il rifermento socio, economico, culturale e politico dell’occidente o meglio di quello che un tempo è stato l’occidente.
Sin dall’inizio gli Usa hanno rappresentato il modello piu’ avanzato, democraticamente possibile, di convivenza umana, in cui le libertà dell’individuo si coniugavano con la coesistenza civile di etnie, modelli culturali e ispirazioni religiose diverse, una cornice entro cui la umanità trovava l’unico abitat possibile e quindi il migliore.
L’America era l’alternativa ai totalitarismi, ai regimi illiberali, alle povertà frutto di ignoranza e superstizioni.
Noi, ragazzi degli anni sessanta, conoscevamo l’America perché lì vivevano, lavoravano migliaia di mariti e figli della nostra terra.
Io che ho vissuto a Villagrazia di Carini con i nonni, ho conosciuto, attraverso mio zio, emigrato a Brooklyn, cosa significasse vivere negli Usa.
Attraverso le lettere che Peppino il postino, con la sua bici, consegnava quasi casa per casa, dove madri e mogli, dietro le “persiane” aspettavano con ansia, quegli scritti, che venivano letti con il pianto soffocato in gola.
Attraverso quelle lettere sapevamo che lì erano decenni avanti, avevano il telefono, la televisione a colori, la lavatrice, e strade grandi anche se le chiamavano “strette”.
Attraverso quei racconti sapevamo che esisteva una società ricca, progredita, libera e paladina, nel mondo, della libertà.
Ci aveva liberato dal fascismo e mia madre, bambina, aveva ricevuto le caramelle da quei giovani boys americani che dall’alto dei loro mezzi militari, che li rendevano ancora piu’ valorosi, sorridenti, di quel sorriso che non dimenticherai mai, perché un segnale chiaro che il peggio era passato, la guerra era finita.
L’America paese amico, nostro alleato, sentinella della democrazia contro i pericoli del comunismo e dei fanatismi religiosi.
Per molti siciliani è rimasto il rimpianto di non essere stati la cinquantunesima stella di quella gloriosa bandiera.
E per questo, per noi un presidente USA era piu’ familiare che Rumor, Segni o Gonella.
Ricordo la sera del 22 novembre del 1963 quando a Dallas fu ucciso Kennedy, la notizia la porto mio nonno, che era al circolo con gli amici, vicino all’unico bar, quello di “mencia mencia ”, arrivando trafelato ed emozionato.
La Tv di un tempo non era quella aggressiva di oggi e le notizie le dava dopo aver accertato bene i fatti e comunicando con grande equilibrio.
Io avevo 9 anni e fui sconvolto, mi consolava mio padre dicendomi che presto avrebbero assicurato alla giustizia l’assassino.
Erano gli anni della guerra fredda e del muro di Berlino, della crisi di Cuba la guerra in Vietnam, il medio oriente in fiamme, e sempre gli Usa al centro, protagonisti.
Abbiamo seguito le grande sfide per la presidenza, ci siamo appassionati a R. kennedy, Nixon, Carter, Ford, Reagan, Bush poi finalmente il primo presidente “abbronzato” come disse Berlusconi, Obama con Mandela, che vedeva coronato un sogno, in lacrime in mezzo alla folla, al momento del suo insediamento.
Le ultime elezioni, seppure caratterizzate dallo scontro tra le due anime, l’asinello dei democratici e l’elefantino dei repubblicani, oggi si svolgono in uno scenario internazionale nuovo, di cui pochi si sono accorti.
Lo schema non è piu’ quello dei decenni precedenti, le potenze non sono quelle politiche, ma quelle economico finanziarie e culturali, che passano attraverso la globalizzazione, una globalizzazione che non ama le identità dei singoli popoli, siano esse culturali, religiose, etniche.
Il mondo corre verso un governo planetario, in cui le regole del giogo le detta la finanza e dove tutti possiamo essere delle pedine felici in un contesto ben organizzato, con uno stato che provvede anche al tuo tempo libero.
Trump rappresenta un intoppo, goffo, istrionico, ma intoppo e forse l’ultimo intoppo, per questo grande disegno di un’unica realtà, che potrà vantare di non vedere mai tramontare il sole sul suo regno.
E qui ritorna l’America, la mia America quella di Robert Kennedy , dei nostri sogni giovanili, che davanti alle esigenze della finanza diceva in un suo discorso “eppure il PIL non tiene conto della salute dei nostri ragazzi…l’allegria dei loro giochi… non include la bellezza delle nostre poesie e la solidità dei nostri matrimoni, l’acume dei nostri dibattiti politici…misura tutto eccetto quello che rende la vita degna di essere vissuta.”
Non lasciamoci ingannare da quello che la stampa italiana ci racconta dell’America, i nostri giornalisti in maggioranza, hanno degli occhiali ideologici e spesso non si accorgono della realtà e la raccontano a modo loro.
Pensate che di tutti i giornalisti corrispondenti che avevamo a Berlino , nessuno si era accorto, aveva capito in anticipo, che stava per cadere il muro, lo hanno saputo come noi nel momento in cui è stato abbattuto.
Rispettiamo il voto degli americani, perché hanno sempre dimostrato di essere un grande popolo, da sempre fedele a cio’ che sta piu’ a cuore all’umanità … la libertà.
Giuseppe Failla