di Renato Pierri

Il Papa dopo l’Angelus di domenica 25 agosto: “E continuiamo a pregare perché si ponga fine alle guerre, in Palestina, in Israele, in Myanmar e in ogni altra regione. I popoli chiedono pace! Preghiamo perché il Signore ci dia, a tutti, la pace”.
Quando sento questo genere di preghiere, non dico che mi viene fatto di ridere, giacché sarebbe irrispettoso verso il Papa e verso i credenti, diciamo che non posso fare a meno di sorridere, magari amaramente, molto amaramente. Possibile che l’esperienza della vita e la storia non abbiano ancora fatto capire ai credenti che pregare per ottenere qualcosa da Dio, per smuovere la sua volontà, è perfettamente inutile?

E come non capire che insistere nel pregare Dio significa non considerarlo un Padre amorevole? Come può, infatti, essere amorevole un padre che per aiutare le sue creature ha bisogno d’essere pregato insistentemente? E’ pur vero che esistono passi nel vangelo in cui Gesù esorta a pregare con insistenza, ma per ottenere che cosa? La fine delle guerre? La pace? La guarigione da una malattia? Non è possibile giacché quei passi contrasterebbero con la ragione, col buon senso, nonché con uno dei brani più belli del vangelo stesso: “Ora se Dio veste così l’erba del campo, che oggi c’è e domani verrà gettata nel forno, non farà assai più per voi, gente di poca fede? Non affannatevi dunque dicendo: Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo?

Di tutte queste cose si preoccupano i pagani; il Padre vostro celeste infatti sa che ne avete bisogno. Cercate prima il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta”(Matteo 6,30-33).

Renato Pierri

 

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