In economia, un dato solo non basta mai
Spesso gli organi di informazione ci danno in pasto, anche in modo eclatante, delle informazioni su un dato o un altro dell’economia.
Ma un dato solo, non basta mai.
Si prenda ad esempio l’articolo apparso la settimana scorsa[i] sull’operazione di repo avviata dalla Bank of England.
“Repo” (o “repurchase agreement”) è una transazione finanziaria a breve termine in cui un istituto, generalmente una banca, vende un titolo (come obbligazioni o altri strumenti) a un’altra entità con l’impegno di riacquistarlo a un prezzo concordato in una data successiva. In pratica, è un prestito garantito dove il titolo venduto funge da collaterale per il prestito. L’entità che vende il titolo (in questo caso la Bank of England) ottiene liquidità immediata e si impegna a restituirla in futuro con un interesse (la differenza tra il prezzo di vendita e il prezzo di riacquisto).
Le operazioni di “repo” sono utilizzate dalle banche centrali per regolare la liquidità nel sistema finanziario, gestendo l’offerta di moneta e il costo del denaro a breve termine.
L’operazione di repo della BoE è stata di dimensioni eccezionali, secondo chi scrive (34,3 miliardi di sterline), per diverse ragioni:
- La Bank of England sta affrontando pressioni significative dovute all’alto livello di inflazione nel Regno Unito. Operazioni come queste possono essere utilizzate per influenzare i tassi di interesse a breve termine e per garantire che le banche abbiano liquidità sufficiente per continuare a finanziare l’economia.
- In periodi di incertezza economica o finanziaria (ad esempio, a seguito di notizie economiche negative o turbolenze nei mercati), le banche possono necessitare di più liquidità. Operazioni di repo di questa portata indicano che c’è una domanda eccezionale di fondi a breve termine nel sistema finanziario, probabilmente per mantenere la stabilità.
- BoE potrebbe aver voluto assicurarsi che non ci siano strozzature di liquidità nel sistema bancario, che potrebbero causare problemi di solvibilità per le banche o altre istituzioni finanziarie. Il contesto globale ha visto anche altre banche centrali adottare misure simili, segnalando un approccio prudente e di supporto per evitare crisi di liquidità o impennate incontrollate dei tassi di interesse a breve termine.
Questa operazione riflette una situazione in cui la banca centrale ritiene necessario intervenire in modo aggressivo per garantire la stabilità finanziaria. Anche se operazioni repo sono comuni, la dimensione straordinaria di questa mossa suggerisce che c’è una pressione significativa sui mercati monetari o una preoccupazione latente sulla liquidità. Tale mossa potrebbe essere vista come preventiva per evitare problemi sistemici più ampi.
Con questa specifica operazione di repo, la Banca d’Inghilterra non acquisisce liquidità, ma la fornisce al sistema finanziario. In questo caso, la BoE presta fondi alle banche commerciali in cambio di titoli (collaterale) con l’accordo che questi titoli verranno riacquistati in futuro.
Se l’obiettivo è contenere l’inflazione, la BoE solitamente riduce la liquidità disponibile nel sistema, ad esempio attraverso l’aumento dei tassi di interesse o vendendo titoli (operazioni che drenano liquidità). Tuttavia, questa operazione di repo, dove la banca fornisce liquidità, potrebbe sembrare in contraddizione con l’obiettivo di contenere l’inflazione.
In realtà, l’operazione può essere vista come un modo per mantenere la stabilità finanziaria senza compromettere direttamente la lotta all’inflazione. Durante periodi di tensione sui mercati o difficoltà di liquidità, le banche potrebbero ridurre il credito o aumentare i costi di finanziamento, aggravando i problemi economici. Pertanto, la BoE fornisce liquidità per evitare una crisi finanziaria che potrebbe peggiorare la situazione economica complessiva.
Se l’obiettivo fosse stimolare l’economia, la BoE utilizzerebbe questa liquidità per facilitare il credito e promuovere la spesa e gli investimenti. Questo potrebbe essere un obiettivo secondario se la BoE teme una recessione, ma non è il caso principale in questo contesto, dato che l’inflazione rimane una preoccupazione primaria.
In sintesi, la BoE con questa mossa non sta necessariamente stimolando l’economia in modo diretto, ma piuttosto sta assicurando che non ci siano strozzature di liquidità che potrebbero destabilizzare il sistema finanziario, il che potrebbe a sua volta minare le condizioni economiche e complicare ulteriormente il controllo dell’inflazione.
Questa l’informazione.
Ma senza altri dati, non capiremmo quanto sia la portata dell’operazione.
Per fare questo, dobbiamo dare un’occhiata, quindi, alla massa monetaria[ii] della Gran Bretagna. Abbiamo, secondo le diverse fonti, un’indicazione di massima:
- M1: Circa 2,7 trilioni di sterline.
- M2: Circa 3,3 trilioni di sterline.
- M3: Circa 3,9 trilioni di sterline.
L’operazione di 34,3 miliardi di sterline rappresenta meno di un centesimo dell’aggregato M3. Precisamente, essa costituisce circa lo 0,88% di M3.
Questo dettaglio sottolinea ulteriormente come l’intervento, pur rilevante, sia una misura specifica e mirata piuttosto che un’iniezione massiccia di liquidità nell’intero sistema economico.
Ora, allarghiamo l’orizzonte, per vedere se questa operazione faccia parte di un’azione sistemica diffusa, al fine di verificare se ci sono dei trend comuni alle varie economie, che possano definire uno scenario di cambiamento (ad esempio verso la multipolarità finanziario-monetaria, perché no?)
Ora, guardiamo le tabelle storiche dell’inflazione e dell’andamento dei prezzi al consumo per tre macro-realtà, USA, GB e UE,
E ora facciamo un confronto tra i due andamenti
Cosa ci indicano questi grafici? Che le cose costano di più, senza dubbio, e che le politiche monetarie di contenimento dell’inflazione hanno rincorso gli andamenti, invece di orientarli.
I prezzi al consumo sono aumentati in modo quasi ininterrotto in tutte le regioni, indipendentemente dalle fluttuazioni dell’inflazione. Questo indica che, anche quando l’inflazione viene temporaneamente contenuta, i prezzi continuano a salire, suggerendo che il costo della vita diventa progressivamente più elevato.
L’inflazione mostra un andamento molto più volatile rispetto ai prezzi al consumo. Questo dimostra che le politiche monetarie e gli shock economici (come la crisi del 2008 o la crisi energetica post-2020) hanno un impatto immediato sull’inflazione, ma il loro effetto sui prezzi al consumo è più graduale e meno flessibile.
I grafici indicano che le politiche monetarie sono state reattive, piuttosto che proattive. Le banche centrali sembrano aver cercato di contenere i danni piuttosto che prevenire gli shock. L’inflazione è stata contenuta con interventi mirati, ma non sempre in tempo per evitare l’aumento continuo dei prezzi al consumo.
La crescita costante dell’indice dei prezzi al consumo, anche durante periodi di bassa inflazione, evidenzia un problema strutturale. Anche quando l’inflazione sembra sotto controllo, il costo della vita continua a salire. Questo rappresenta un fallimento delle politiche monetarie nel mantenere la stabilità dei prezzi in termini reali.
I disallineamenti tra l’inflazione e l’indice dei prezzi al consumo mostrano che le politiche monetarie non sono riuscite a orientare efficacemente l’economia. In molti casi, le banche centrali hanno “rincorso” gli sviluppi economici piuttosto che guidarli. Ciò si traduce in una perdita di controllo sugli effetti a lungo termine dell’aumento dei prezzi.
In sintesi:
- I costi continuano a crescere in modo sostenuto, con effetti negativi sul potere d’acquisto delle famiglie e sulla disuguaglianza.
- Le politiche monetarie sono state principalmente reattive, limitandosi a gestire le conseguenze degli shock economici, piuttosto che prevenire il continuo aumento dei prezzi.
- L’efficacia delle politiche di controllo dell’inflazione è limitata: anche in contesti di bassa inflazione, i prezzi al consumo continuano a crescere, suggerendo che il costo reale della vita non è stato efficacemente stabilizzato.
Ma quando l’inflazione cala, e non calano i prezzi al consumo, cosa vuol dire?
Questo può indicare che le imprese, invece di reinvestire i profitti o aumentare la produzione, hanno aumentato i prezzi per mantenere o espandere i margini di profitto, una pratica nota come “profit-led inflation”.
Questa dinamica può essere indicativa di una stagnazione, dove la crescita economica rimane debole o assente nonostante l’inflazione in calo. Se le imprese non reinvestono i profitti e i consumatori riducono i loro acquisti a causa dei prezzi elevati, l’economia può entrare in uno stato di stagnazione, caratterizzato da bassi investimenti, bassa crescita e scarsa creazione di nuovi posti di lavoro.
Allora Andiamo a valutare un ulteriore fattore: il tasso di circolazione del denaro:
Il tasso di circolazione del denaro misura la frequenza con cui una singola unità monetaria viene utilizzata per acquistare beni e servizi nell’economia. Un calo nella velocità del denaro è spesso un segnale di stagnazione o di un’economia in rallentamento, poiché implica che meno transazioni stanno avvenendo rispetto alla quantità di moneta disponibile.
Un calo della velocità del denaro insieme a prezzi al consumo crescenti e inflazione in calo suggerisce che l’economia sta accumulando liquidità senza che essa venga efficacemente impiegata per generare crescita economica. Le imprese potrebbero non reinvestire i profitti in nuovi progetti o in espansione, preferendo invece aumentare i margini o riservare liquidità. Questo è un segnale di un’economia che si sta dirigendo verso uno stato di stagflazione: stagnazione economica combinata con inflazione persistente.
Ovviamente non tutte le economie sono così (ma distinguiamo tra due periodi):
2008-2010: In seguito alla crisi finanziaria, c’è un evidente calo più rapido nella velocità del denaro sia nel Regno Unito che negli Stati Uniti, con una riduzione significativa anche nell’Unione Europea. Questo riflette la contrazione della spesa e degli investimenti durante la recessione.
Dopo il 2010: Il calo continua, ma a un ritmo più graduale, con livelli stabili a partire dal 2020. Negli Stati Uniti, si nota una leggera ripresa a partire dal 2023, come accennato in precedenza.
Allarghiamo il quadro ad includere anche altre economie, e vediamo cosa si trova di interessante:
Ma questo è avvenuto in concomitanza con l’aumento della massa monetaria, quindi essendoci più denaro in circolazione, è normale che la singola unità circoli di meno.
Ma ancora una volta, questi grafici ci dicono poco.
Se, tuttavia, normalizziamo (ossia consideriamo come costante per le valutazioni) il dato della massa monetaria al 2000, avremo:
E questo è il vero indicatore della vitalità di un’economia.
La prima considerazione che salta agli occhi, è che la Cina ha corso e sta correndo molto più delle economie occidentali, così come lo stanno facendo India, Russia e Brasile (“casualmente” nei BRICS).
Ma la seconda è ben più interessante, all’occhio di chi cerca tracce di possibile cambiamento strutturale.
Inseriamo la variabile crescita economica, così da avere ancora un quadro migliore:
E la misurazione della crescita della massa monetaria:
Paragonando questi due grafici, si nota che mentre il PIL cresce in modo relativamente lineare, la massa monetaria ha subito un’espansione esponenziale. Questo evidenzia come l’espansione monetaria non si sia tradotta proporzionalmente in crescita economica reale.
Questo scostamento è più importante per alcuni Paesi e meno per altri. Ma è uno scostamento in termini percentuali. È normale che Paesi con delle economie in sviluppo accelerino sulla produzione di massa monetaria, soprattutto per alimentare il settore finanziario (che era ai prodromi nel 2000).
È tuttavia diverso quando ciò avvenga per le economie già sviluppate, soprattutto se a tale aumento corrisponde un rallentamento della circolazione del denaro (ricordate il grafico di prima?)
Ora, se noi consideriamo quale componente della massa monetaria è aumentata maggiormente rispetto alle altre, nelle varie economie, noteremo che ciò che è aumentato, soprattutto, è la massa del denaro meno liquido, ossia M2 ed M3, ossia il denaro rappresentato da strumenti finanziari:
Naturalmente dovremmo anche comparare i valori assoluti
Ancora una volta, questi dati possono sembrare non parlarci.
Ma se consideriamo la natura della massa monetaria, sempre meno composta in percentuale da moneta circolante e sempre più da strumenti finanziari, e consideriamo chi detiene gli strumenti finanziari, ossia gli investitori istituzionali e i grandi fondi, capiamo alcune dinamiche di potere.
La crescita maggiore di M3 rispetto a M2 e M1, combinata con il rallentamento della velocità di circolazione del denaro, porta a una serie di conclusioni economiche rilevanti:
1.Accumulo di moneta nei mercati finanziari e nelle riserve:
M3 include strumenti finanziari a lungo termine, grandi depositi a termine e altri asset che non sono utilizzati direttamente per le transazioni quotidiane. La crescita sproporzionata di M3 comporta che una parte significativa della liquidità creata sia rimasta “parcheggiata” in strumenti di investimento e riserve piuttosto che essere impiegata per stimolare l’offerta e/o la domanda di beni e servizi nell’economia reale.
2. Diminuita trasmissione della politica monetaria all’economia reale:
Il fatto che M1 e M2 crescano più lentamente rispetto a M3 suggerisce che l’aumento della massa monetaria non si traduce direttamente in maggiore spesa da parte di consumatori e imprese. In altre parole, le politiche monetarie espansive hanno un impatto limitato sulla domanda aggregata e quindi sulla crescita economica, poiché gran parte della liquidità rimane bloccata in investimenti a lungo termine.
3. Inflazione degli asset vs. aumento del costo al consumo
Con una quota crescente di liquidità che si concentra in strumenti finanziari, si verifica un fenomeno di “inflazione degli asset” (aumento dei prezzi delle azioni, obbligazioni, immobili, ecc.) piuttosto che un aumento significativo dei prezzi dei beni e servizi di consumo. Il valore degli asset detenuti da investitori istituzionali e ricchi aumenta, mentre i benefici per l’economia reale sono limitati.
4. Rallentamento della velocità di circolazione del denaro:
Il rallentamento della velocità di circolazione del denaro, nonostante l’aumento della liquidità totale, suggerisce una “stagnazione secolare”, dove l’eccesso di risparmi e l’accumulo di risorse finanziarie non portano a investimenti produttivi o a un aumento della spesa.
5. Aumento del potere dei grandi fondi di investimento:
La crescita di M3 è principalmente alimentata da investimenti in strumenti finanziari a lungo termine e riserve. Questo aumenta il potere dei grandi fondi di investimento, come fondi pensione, fondi sovrani e hedge funds, che detengono e gestiscono una parte significativa di questa liquidità. Questi fondi sono in grado di influenzare i mercati finanziari e gli asset globali, potendo allocare enormi somme di capitale in settori specifici o mercati particolari con conseguenze rilevanti sull’economia globale.
6. Limitato Impatto delle politiche monetarie sui grandi investitori:
I grandi fondi di investimento sono relativamente immuni rispetto alle politiche monetarie tradizionali. Poiché la liquidità si concentra maggiormente in M3 (investimenti a lungo termine e riserve), le manovre sui tassi di interesse o l’aumento della base monetaria non hanno un impatto diretto su queste entità. La prova di ciò è data dal fenomeno osservato in molte economie: una diminuzione dell’inflazione nominale (grazie a politiche monetarie restrittive) non ha fermato l’aumento dei prezzi al consumo. Questo scollamento tra le due dinamiche riflette come i grandi fondi siano più influenzati dalle tendenze globali e dalla domanda di asset finanziari piuttosto che dalle politiche monetarie locali.
7. Trasferimento del potere ai grandi fondi:
La concentrazione della liquidità nei grandi fondi di investimento, che risultano parzialmente immuni alle politiche monetarie tradizionali, comporta l’aumento del loro potere su mercati e società. Con il crescente peso della massa monetaria USA e la sua capacità di influenzare i mercati globali, questi fondi esercitano un potere significativo non solo all’interno degli Stati Uniti, ma anche in altre economie, soprattutto quelle meno strutturate.
In sintesi, la crescita elevata di M3 rispetto a M2 e M1, combinata con il rallentamento della circolazione del denaro, indica che la liquidità aggiuntiva sta andando principalmente verso investimenti finanziari e riserve piuttosto che essere utilizzata nell’economia reale. Questo porta a una minore crescita economica, alimenta l’inflazione degli asset e limita l’efficacia delle politiche monetarie espansive. La concentrazione della liquidità nei grandi fondi di investimento rafforza il loro potere, spostando l’influenza economica dai governi e dalle politiche pubbliche verso i Consigli di Amministrazione di poche grandi istituzioni finanziarie.
Questi dati evidenziano la transizione in corso verso un sistema dove il potere economico è sempre più concentrato nelle mani di entità finanziarie globali, segnando un cambiamento strutturale nel panorama economico, politico e sociale mondiale.
[i] Fonti:
Federal Reserve Bank of St. Louis. (2024) Monetary Base; Total (BOGMBASE). Available at: https://fred.stlouisfed.org/series/BOGMBASE/ (Accessed: 19 August 2024).
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Central Bank of Russia. (2024) Money Supply and Monetary Aggregates. Available at: https://www.cbr.ru/eng/statistics (Accessed: 19 August 2024).
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Reuters. (2024) Bank of England Allots Record £343 Billion in Short-Term Repo Operations. Available at: https://www.reuters.com/markets/europe/bank-england-allots-record-343-billion-pounds-short-term-repo-2024-08-15/ (Accessed: 19 August 2024).
CEIC Data. (2024) Global Economic Data. Available at: https://www.ceicdata.com/en (Accessed: 19 August 2024).
Statista. (2024) Global Monetary Supply by Region. Available at: https://www.statista.com/ (Accessed: 19 August 2024).
[ii] Ecco una descrizione dei principali aggregati monetari:
- M1: Comprende la moneta in circolazione (banconote e monete) e i depositi a vista (depositi che possono essere prelevati senza preavviso).
- M2: Include M1 più i depositi a breve termine (depositi con scadenza fino a 2 anni o con preavviso fino a 3 mesi).
- M3: Include M2 più strumenti finanziari a lungo termine come i depositi a lungo termine e altre attività finanziarie liquide (certificati di deposito, obbligazioni a breve termine, ecc.).