“I dirigenti bravi e patrioti vanno strappati al privato se si vuole una sburocratizzazione vera”

“Nella sua intervista alla Verità di ieri il direttore dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli , Roberto Alesse, ha avuto il coraggio di affrontare finalmente una questione che nessuno, per ipocrisia o per demagogia, o ancora per peloso egualitarismo negli ultimi anni, aveva avuto mai il coraggio di sollevare: la qualità della classe dirigente statale, dei manager pubblici, di chi muove la macchina burocratica dello Stato.

I migliori preferiscono lavorare con i privati perché gli stipendi che offre la pubblica amministrazione non sono adeguati ne’ competitivi. E lo Stato deve rinunciare ai più qualificati: un sistema che va profondamente cambiato”. Lo dichiara Riccardo Pedrizzi, già senatore e presidente della Commissione Finanze e Tesoro del Senato, impegnato nella rappresentanza dell’imprenditoria e della managerialità di ispirazione cattolica, quale Presidente nazionale del Comitato Scientifico dell’Ucid, in riferimento alle parole di Alesse che aveva detto: “Chi serve lo Stato, esercitando responsabilità di assoluto rilievo non può essere ricompensato con retribuzioni irrisorie e perennemente uguali. La conseguenza è che non si riesce soprattutto ad avere una classe di funzionari stabili perché, una volta vinti i concorsi, chi può abbandona la pubblica amministrazione per il mercato privato che offre maggiori stimoli economici”.


“Noi – prosegue Pedrizzi –  come classe dirigente e come imprenditori che hanno a cuore le sorti del Paese, ben conosciamo i danni che la fuga delle eccellenze, all’estero o nel settore privato, procurano al funzionamento e alla competitività dell’Italia anche sui mercati stranieri. Lo Stato non può continuare a fare lo struzzo non rendendosi conto che il Paese ha bisogno di personale specializzato, manager esperti, formati anche all’estero con master pagati salati ed investimenti personali e delle famiglie che poi dovrebbero poter essere recuperati sotto forma di retribuzioni, che pertanto devono essere adeguate e concorrenziali rispetto al privato che va a caccia di cervelli pagandoli profumatamente.

Conosco tanti dirigenti, che sono “patrioti”, che hanno senso delle istituzioni, che sentono la loro appartenenza alla comunità che amano e che vorrebbero servire, e che quindi sarebbero ben lieti di restare in patria, non emigrare e disponibili a prestare la propria opera per lo Stato, se pagati il giusto, come ha fatto coraggiosamente notare il dottor Roberto Alesse nella sua intervista”.

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