Le Metamorfosi sono un poema epico composto da Ovidio (43 a.C. – 18 d.C.) tra il 2 e l’8 d.C., suddiviso in 15 libri. L’argomento dell’opera è mitologico: nel testo vengono narrate oltre 250 tra leggende e miti, incentrati sulla metamorfosi di personaggi in animali o elementi naturali.
L’ordine scelto da Ovidio è cronologico: si va dall’origine dell’universo fino all’apoteosi di Cesare e alla glorificazione di Ottaviano Augusto, il primo imperatore romano.
L’opera – che dopo l’Ars amatoria e le Heroides, costituisce il testo della maturità del poeta romano – è raffinata e colta: attinge ad una sterminata cultura mitologica e letteraria (in primis, l’Iliade e l’Odissea) e si ispira alla poetica cd. alessandrina, una maniera d’arte eleborata, dotta e raffinata, propria della letteratura e della poesia greca nel periodo detto alessandrino o ellenistico che fiorì ad Alessandria sotto i Tolomei.
Il termine principale di confronto letterario è tuttavia l’Eneide di Virgilio: al poema della fondazione mitica della gens Iulia, Ovidio contrappone la mutevolezza e l’eterno divenire della metamorfosi e della fusione di umano e divino, di storia e mito.
Sto parlando di un testo classico di incredibile contemporaneità, una grandiosa rappresentazione del carattere instabile, precario e illusorio della realtà dove una definizione univoca, della natura, della vita, dell’uomo risulta essere non solo antistorica ma addirittura impossibile.
“Le storie nascono l’una dall’altra, si intrecciano e riaffiorano velocissime, sono una sorta di enciclopedia in movimento dei racconti più famosi dell’antichità dove – e qui risiede proprio qui il suo tratto universale che gli ha consentito di parlare lungo le epoche – si concentrano tutte le passioni e le infelicità che regnano nel mondo degli esseri umani. Siamo convinti che le Metamorfosi siano in primo luogo un grande spettacolo, un poema di meraviglia e stupore” – ha commentato alla stampa il regista Andrea Baracco (Civitavecchia, 1973) che fonda parte del proprio percorso di studio e lavoro sulla riproposizione dei classici nel contemporaneo e che ha curato l’adattamento dell’opera in questione.
In questo caso ha deciso (assieme ai suoi collaboratori e agli artisti in scena) di concentrare l’attenzione su alcune delle storie che più di altre sono apparse emblematiche per temi e significati: la creazione del mondo, l’amore di Apollo per Dafne (qui ci troviamo nell’universo dell’eros più incontrollabile che sfocia nella violenza sulle donne, tristemente attuale), per finire con Fetonte (che è sostanzialmente la storia di un clamoroso disastro aereo causato dal folle ardire del giovane che compie il volo).
Lo spettacolo che ne è risultato mi è apparso veramente inusuale e strepitoso.
Si resta incantati nel seguire la voce recitante della giovane Nina Pons (in rigoroso abito lungo e scuro) e il ritmo incalzante dei musicisti Mugen, Naomitsu e Tokinari Yahiro che appartengono a ‘Munedaiko’, gruppo di studio dedicato alla pratica e valorizzazione del tamburo tradizionale giapponese Taiko che, attraverso le sue vibrazioni, mira ad approfondire l’armonia dello spirito in risonanza con la mente e stato d’animo di ogni essere umano.
Una lingua teatrale inusuale, specifica e originale, a cui non siamo certamente abituati.
Lo spettacolo (in scena nella verde cornice del Parco Miralfiore di Pesaro) fa parte della rassegna’ Teatri Antichi Uniti (TAU), circuito multidisciplinare di teatro, musica, danza e circo contemporaneo delle Marche, organizzato da AMat, con il patrocinio di Regione Marche, MiC e 14 Comuni del territorio (Ancona, Ascoli Piceno, Castelleone di Suasa, Corinaldo, Falerone, Fano, Macerata, Monte Rinaldo, Pesaro, Porto San Giorgio, San Severino Marche, Senigallia, Sirolo, Urbisaglia), da ben 26 anni un fiore all’occhiello della scena teatrale nazionale.
Nell’anno in corso 32 sono gli appuntamenti e 14 i siti coinvolti.
Che dire? Complimenti agli interpreti e agli organizzatori.
Paola Cecchini