Riceviamo e pubblichiamo
Cosa accade in una camera di consiglio? I tre giudici componenti il collegio discutono gli aspetti di fatto e di diritto della causa, avvalendosi del materiale raccolto in istruttoria e delle memorie degli avvocati delle parti. Poi decidono e delegano uno di loro a scrivere la motivazione.
Non avrei voluto essere quel giudice per nulla al mondo!
Perchè la vera sentenza della Corte d’Appello dell’Aquila non è quella che è stata pubblicata e che sarà impugnata in Cassazione, e che ha suscitato una giusta indignazione.
Il giudice, burocraticamente, ha dovuto arrampicarsi sugli specchi per non scrivere una verità molto più drammatica, e cioè che davanti all’imponderabile non c’è possibilità di chiedere alcun ristoro per quanto vissuto e subìto.
Chi chiedeva i danni invocava i messaggi rassicuranti della Protezione Civile, chi doveva dar loro ragione ha detto, invece, che han tenuto una condotta imprudente, perché dovevano allontanarsi.
Hanno ragione entrambi!
D’istinto, anziché rimanere in casa, sarebbe stato opportuno scendere in strada. Ma, una volta in strada, poteva succedere che crollassero degli edifici.
E se è umano cercare una responsabilità per quanto accaduto, è più difficile rendersi conto che davanti agli eventi naturali non si può far altro che arrendersi, poiché inevitabilmente l’uomo non può prevedere tutto. Può certamente e deve svolgere attività di prevenzione, e così costruire edifici il più possibile antisismici o in zone a basso rischio (posto che il rischio zero non esiste!), sorvegliare gli argini dei fiumi ed evitare di costruirvi vicino. Però l’uomo nulla può contro un terremoto, un cataclisma. Contro le forze della natura l’uomo è senz’armi.
E così non ha senso invocare responsabilità di varie autorità. E parimenti, quando queste vengono invocate, non ha senso rispondere tacciando di imprudenza chi la chiede.
E’ evidente che l’estensore della sentenza non poteva svolgere queste argomentazioni, poiché si tratta di concetti più filosofici che giuridici. Ed ha preferito ripiegare su una motivazione assurda, tantopiù assurda perché non dice quale condotta avrebbero dovuto tenere e se quella condotta sarebbe stata esente da rischi.
E questo è il destino di tanti processi civili e penali che si concludono con un nulla di fatto, perché si invocano responsabilità “extraumane”. Non ci si vuole convincere, davanti al dolore di una perdita, di un disastro che ha portato via tutto quanto si possedeva, che davanti alla forza della natura, ed al di là dei cambiamenti climatici, l’uomo deve solamente arrendersi senza domandarsi di chi è la colpa.
Ha senso, certamente, domandarsi se si poteva evitare. Ma anche questa domanda va formulata meglio. Non si può evitare un nubifragio, un terremoto. Casomai, si può e si deve evitare che le conseguenze siano più disastrose. Certo, si può addebitare a chi di competenza di non aver svolto adeguati azioni preventive, intendendo per tali non attività che cerchino di evitare i disastri naturali, ma quelle che evitino danni maggiori, posto che comunque questi ci saranno.
Già gli antichi Romani sintetizzavano questo con quattro semplici parole “ad impossibilia nemo tenetur” : ovvero nessuno è obbligato all’impossibile.
Felice Cellino
foto Ministero della Giustizia