Oggi nella nostra soffitta dei libri, un regalo per i più piccoli, da un grande autore, uno che possiamo annoverare fra i padri della Patria, Antonio Gramsci.

Nel 1929 (Ales, Cagliari 1891- Roma 1937) si trova nel carcere di Turi, un vecchio monastero adibito a carcere, celle anguste.

Ha ospitato solo ergastolani fino a diversi anni fa, ora ha 167 detenuti per posti 108, un classico esubero per le nostre case di detenzione. Riporta il sito online dell’istituto di pena che di Antonio Gramsci si è “conservata la cella con l’allestimento originario, oggetto di frequenti visite da parte di esponenti politici e sindacali nonché studiosi”

L’autore che conosciamo per i ?quaderni dal carcere? e tante opere che hanno riempito le biblioteche di tutto il mondo, in questo periodo, forse per fare un regalo alla sorella Teresa, scrive, traducendo dal tedesco, dal volume Karl Grimm- Jakob Grimm, “Fünfzig Kinder- und Hausmärchen,”(1812-1822) ventiquattro favole.

Un’opera deliziosa che rimase per 60 anni sepolta nelle carte raccolte dalla clinica dove, ormai malato, Antonio morì.

Nel 1980 il primo a pubblicarle è stato Vallecchi. Ora lo offriamo ai lettori con le risorse della rete (scaricate sin fondo all’articolo).

Non c’è altro dalla rete, ma del resto, Cappuccetto rosso, i musicanti di Brema, Cenerentola, insomma c’è tutto il mondo dei meravigliosi fratelli Grimm, che scrissero raccontando miti popolari, imbrigliandoli con la loro fantasia, tanto da essere criticati, nel loro tempo, per queste astruserie che fanno sognare ancora oggi.

Gramsci scrive per esercitarsi nella traduzione dalla lingua tedesca, ma anche per ripresentare quel mondo del bene che vince sempre il male.

Mentre lui sperimentava la crudezza dei tempi, il cinismo dei contemporanei, il potere assoluto che troncava in tal modo il dissenso, quel male che si trasformava anche nella sofferenza fisica.

Forse anche adesso rileggendo queste favole attraverso Gramsci le gustiamo con una diversa luce tra le parole, quelle di un martire della libertà.

Ecco cosa scriveva, nel maggio del 1928, alla madre:

«Non ho mai voluto mutare le mie opinioni, per le quali sarei disposto a dare la vita e non solo a stare in prigione […] vorrei consolarti di questo dispiacere che ti ho dato: ma non potevo fare diversamente. La vita è così, molto dura, e i figli qualche volta devono dare dei grandi dolori alle loro mamme, se vogliono conservare il loro onore e la loro dignità di uomini».

https://liberliber.it/autori/autori-g/antonio-gramsci/favole-di-liberta/

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