Se ne parla anche troppo e proprio per questo è arrivato il momento di chiedersi perché se ne parla così tanto e se ne pratica così poco.
Da ovunque, infatti, si registra un calo del desiderio. Non c’è neanche bisogno di guardare alle statistiche, che pure parlano chiaro: in Germania nell’ultimo decennio la percentuale dei giovani di età tra i 18 e i 30 anni sessualmente inattivi è passata dal 7,5 al 20,3 per cento.
Negli Stati Uniti, l’assenza di attività sessuale è raddoppiata dal 7 al 14,1 per cento. Anche l’Italia non è da meno, maranza esclusi, che grazie al cielo alzano un po’ la media.
L’ultimo rapporto Censis-Bayer del 2019 sui comportamenti sessuali degli italiani negli ultimi venti anni rileva che è più ampia l’area del Nosex, passando dal 3 per cento al 12 per cento per un milione e seicentomila persone che si astengono dal sesso.
Cosa fanno la sera? L’unica cosa di cui siamo certi è che non leggono.
A questi si aggiungono le duecentoventimila “coppie bianche”, ossia con relazioni affettive stabili ma senza alcun rapporto sessuale, e le settecentomila che dichiarano di non essere interessate al sesso in questo momento.
Ipotizziamo che un buon 80% degli uomini delle coppie in questione ascolti i podcast di Barbero.
Ma insomma basta seguire una qualsiasi puntata della Zanzara per capire che non si fa sesso abbastanza, basta sapere che i cinepanettoni non li producono più, perché non avrebbero un pubblico, basta fare due chiacchiere con una prostituta per averne la certezza definitiva: il sesso è una pratica in disuso, reazionaria quasi, volgare dopotutto.
Meglio il sexting, meglio i sextoy, e quante altre diavolerie solipsiste – il porno sì, purché non ci sia di mezzo la carne, il sesso ma senza sudore, il godimento ma senza l’altro, il coito ma senza la morte.
Quanto ha contribuito Netflix al declino del desiderio sessuale di un intero continente? Ce lo diranno i sociologi tra vent’anni, ce lo dice già adesso l’oroscopo di Branko.
L’Occidente sta smettendo di copulare nel momento stesso in cui produce più discorsi e immagini sul sesso, e quando conta, all’attivo, schiere di professionisti (psicologi, influencer, educatori) con «il compito di far passare tutto ciò che ha rapporto col sesso alla macina senza fine della parola» (Foucault).
Che non sia proprio questa parola, questo eccesso di linguaggio, quindi di codificazione, la causa scatenante della recessione sessuale (la chiamano così quelli della rivista «The Atlantic», giusto per far capire l’entità del problema nel mondo anglosassone, che addirittura scomoda l’economia)? Non sarà che a forza di parlare, quindi di distruggere tutta una serie di tabù (come puntelli che sigillano i confini del silenzio, che custodiscono il fascino dell’incomunicabilità, dove non è concesso ai significanti di entrare) stiamo sottraendo al sesso la sua carica misterica, l’unica, in fondo, che esercita su di noi una qualche forza d’attrazione?
Con questo non intendiamo affatto fare i bigotti, sostenere l’abolizione della pornografia (che per Carmelo Bene era superiore all’eros, poiché l’o-sceno implica l’uscita di scena, quindi l’assenza, uno scacco all’Io e al peso dell’identità del soggetto), ma anzi condannare la sua eccessiva scenità, il suo essere eccessivamente presente al mondo. Non è una battaglia parrocchiale, la nostra, non è contro Onlyfans o i sextoy, nessuna pruderie censoria, ma ci fa paura questa irruzione dello Stato prima, con la sua non ben definita educazione sessuale e i suoi mille dispositivi di controllo e prevenzione, e delle tecnologie private dopo (le app su tutte) in una dimensione così intima e privata.
Educatori ci insegnano sin da bambini alla pratica del sesso, angosciandoci con tutti i pericoli del caso, e app di sexting soddisfano in sicurezza le nostre sempre più timorose pulsioni, nell’attesa che si spengano del tutto.
In questo chiaroscuro rimane il sesso senza desiderio, attività ginnica, idraulica, meccanica: mezzo per qualcos’altro, per salvaguardare la salute, per il benessere mentale… Ma che c’entra il sesso con la felicità, con la stabilità psicologica?
Perché ne stiamo facendo un’attività ricreativa, lenitiva, curativa: paragonabile al fitness, allo yoga, alla ginnastica?
Qualcosa che esiste in funzione di qualcos’altro? Non è lo stesso atteggiamento che avevano la Chiesa e lo Stato moderno, che regolamentavano il sesso a fini riproduttivi?
Oggi lo regolamentiamo per altri scopi, che però si riducono tutti all’ansia contemporanea di contabilizzare, controllare, efficientare, sorvegliare non tanto i comportamenti anomali, che proliferano liberamente, quindi hanno perso anche l’incanto dell’anomalia, ma i luoghi in cui e le modalità con cui si svolge il sesso – certificati, approvati – riducendolo a una «cosa» di cui si può sapere tutto e tutto prevedere, quindi l’esatto opposto di ciò che è: forse il raro momento in cui, nel gioco dell’amplesso, si sospende ogni forma di sapere, collocandosi fuori da qualsiasi finzione culturale, proprio là dove non ci sono padroni, perché non ci sono più le parole.