Com’è giusto che sia, il nostro codice di procedura penale prevede requisiti rigorosi per la limitazione della libertà personale di chi sia indagato per un reato.
Anzitutto, non per ogni reato è ammessa la custodia in carcere, o comunque una restrizione alla libertà di movimento. Si deve trattare di reati gravi, per i quali la pena superi, almeno in teoria, i due anni di reclusione, poiché entro i due anni la pena può essere sospesa.
Un altro elemento, non meno importante, è la possibilità che l’indagato si dia alla fuga, in modo da sottrarsi sia al processo sia, soprattutto, in caso di condanna, alla pena.
Ultima condizione, per restringere la libertà personale, è che, qualora lasciato libero, l’indagato possa, come si usa dire, inquinare le prove, ovvero, fare sparire documenti compromettenti, subornare o minacciare testimoni o ancora reiterare il reato.
Il pericolo di fuga è l’elemento al quale si ricorre più spesso proprio per disporre la custodia cautelare, e, al giorno d’oggi, basta poco per ritenere che una persona possa rendersi irreperibile. Indubbiamente, però, la disponibilità di denaro è un elemento dal quale si può presumere la possibilità che l’indagato si dia alla macchia. Non è facile, infatti, vivere sapendo che ti si sta cercando. Non puoi evidentemente usare carte di credito, o dispositivi elettronici, e questo complica sia gli inevitabili acquisti, sia le comunicazioni (le cabine telefoniche stanno diventanto rarità filateliche!). E’ necessario allora ricorrere a persone che ti lascino usare i loro cellulari o carte di credito.
Proprio per questo desta più d’una perplessità la circostanza che una persona imputata per omicidio, anzitutto, non sia stata arrestata subito, ma lasciata a piede libero. Da notare che il codice di procedura penale prevede termini di custodia cautelare legati ad ogni singola fase del processo, e – al duplice fine di evitare sia scarcerazioni sia che, al contrario, una persona debba rimanere ristretto più del necessario – questo impone per i detenuti una “corsia preferenziale”, nel senso che le udienze per i processi a carico di detenuti vengono fissati con priorità rispetto agli altri.
La notizia ha suscitato un certo scalpore, motivato dal fatto che ci si è accorti della sparizione del condannato solo a seguito della conferma della sentenza da parte della Cassazione. E la notizia che pare sia in Francia, rende ridicola la circostanza che gli fosse stato sequestrato il passaporto, poiché, grazie a Schengen, per girare per l’Unione Europea non serve!
Ora, evidentemente, se rintracciato, sarà estradato da una Francia che in questi giorni ha ben altre preoccupazioni, e quindi farà il suo ingresso in un penitenziario.
Resta però la figuraccia da parte di una magistratura che, se nella maggior parte dei casi, è formata da persone serie, motivate e diligenti, che riescono lavorare anche in condizioni spesso critiche e con strumenti non sempre all’altezza delle situazioni che devono affrontare, tuttavia, al suo interno, ha elementi evidentemente non molto motivati o per i quali l’omicidio è quasi un reato come un altro, incuranti della preoccupazione che può destare anche per le modalità con le quali è spesso realizzato (in questo caso il condannato aveva ucciso lo zio gettandolo in un forno industriale, avvalendosi dell’aiuto di un complice che, dopo pochi giorni, si è suicidato).
Evidentemente aveva altro da fare di ben più importante!
Mi trovo spesso a confrontarmi con magistrati preparati, scrupolosi ed attenti. L’indagine che, probabilmente, seguirà da parte del Ministero, dirà come davvero sia andata. Resta, indubbiamente, lo sconcerto come, di fronte ad un reato, indubbiamente grave, la rigida disciplina del codice di procedura penale sia stata disapplicata, rischiano di vanificare, tra l’altro, tutto l’operato dei magistrati.
Felice Cellino
ph shop.giuffre.it