La poesia Un quarto alle 3:0 di Maria Teresa Infante La Marca che dà il titolo alla silloge Un quarto alle 3:00 – Notti (Bari: Oceano Edizioni: 2024: Illustrazioni di Marika Grassano) è densa di simboli che sgorgano, metaforicamente, dal profondo, simboli che si esprimono con tutta l’energia creativa del loro afflato poetico in immagini che colpiscono la sensibilità sommovendone la possibile situazione di quiete.
Maria Teresa Infante La Marca è poetessa a tutto tondo, come si evidenzia anche dalla sua prosa che trae spesso ispirazione dalla poesia di cui essa veste la sua percezione della vita. Si tratta di settantuno composizioni che si pongono nella scia del simbolismo ermetico, in maggioranza costituite da pochi versi a loro volta molto brevi ciascuna, tranne alcune liriche meno sintetiche.
L’atmosfera suscitata dalla raccolta è in generale fosca, in piena sintonia con la Weltanschauung priva di illusioni di chi è consapevole di avere un’esistenza transeunte. Quanto alla lirica in analisi, giustamente, come vedremo, essa è stata posta dall’Autrice come titolo emblematico della silloge, della sua semantica, dell’atmosfera cupa e dei contenuti che essa rappresenta nella prospettiva di una significativa doppia ottica, come andiamo a vedere.
Segue il testo poetico di Un quarto alle 3:0 (63):
L’ultima sigaretta
rimbocca il letto alle arterie
conscia di dover dare
un’opportunità alla morte.
Beffarda la luna
pettina gli orli
ai riccioli sulla fronte
cielo e terra
non sono poi così lontani
se quando più non so che dire
attendo il buio
che parli al posto mio
e carta straccia s’anima d’inchiostro.
La notte è fonda, sono quasi le tre e c’è una protagonista, proiezione della poetessa che non dorme. La prima parola del primo verso della prima strofa, ossia dell’incipit, è l’aggettivo ultima riferito alla sigaretta in pendant con l’ultima parola del quarto verso al termine della strofa, ossia morte.
La strofa è introdotta da qualcosa di ultimo e definitivo e finisce pure con qualcosa di ultimo, nella fattispecie di definitivamente ultimo come la morte. Domina la sensazione iniziale il sentimento della scomparsa della vita. Che nel primo verso l’aggettivo ultima si riferisca alla sigaretta conta nel contesto di morte un po’ come ultima sigaretta del condannato a morte e, sul piano universale, gli umani sono tutti da sempre condannati a morte, così che l’ultima sigaretta può donare un attimo di falsa quiete al morituro. Particolarmente lugubre è l’immagine che vede la sigaretta portatrice o annunciatrice di morte rimboccare in un’azione apparentemente amorevole le coperte al simbolo più vitale dell’esistere, il sangue che scorre nelle vene della persona stesa a letto, nel contesto come in una situazione di attesa della possibile malattia e della più infausta scena conclusiva, nell’inganno del più sinistro amore double face.
Nella seconda strofa fa la sua apparizione una luna altrettanto sinistra che mette in ordine estetico con i suoi pallidi raggi notturni, che fanno per così dire vedere il buio, i riccioli sulla fronte della protagonista. Si tratta di una luna in forte assonanza con la sua presenza nel Romancero Gitano di Federico García Lorca (Fuente Vaqueros 1998 – Viznar 1936). Chiarendo: un po’ come nella lirica Prendimiento de Antoñito el Camborio en el camino de Sevilla, Cattura di Antoñito il Camborio sulla strada di Siviglia, dove la luna – lasciamo qui stare la polisemia del termine luna nel contesto – vogliosa del bellissimo giovane gli fa brillare i riccioli sulla fronte fra gli occhi, mostrando così di averlo scelto per portarlo presto con sé nel suo triste regno – la luna è nelle culture dei popoli sede del Regno dei morti di cui essa è signora.
Come testé accennato, anche la luna di Maria Teresa Infante beffa con la sua sinistra cura dei riccioli sulla fronte colui o colei che vuole rapire, quasi innamorata della bella persona che prepara non per la vita, bensì per la morte. E davvero, se la luna è compagna ideale degli innamorati nella notte, le atmosfere dove domina la notte non sono mai del tutto liete: l’innamorato, in molti poeti del Settecento, soprattutto inglese e tedesco, nell’epoca che introduce l’irrompere della nuova sensibilità Romantica, pensa nell’argenteo e comunque sinistro chiarore lunare all’amato o all’amata ormai nel regno della morte, in un sentire che suscita nell’Autrice qualche momento di oscura comunione con la poesia Romantica.
Nella terza strofa sia il cielo come duplice segno di possibile vita nell’al di là, coincidente con la morte terrena, sia la terra quale duplice simbolo dell’esistenza umana, luogo non solo della vita, ma anche della morte stessa come biblico ritorno alla polvere, alla terra, dunque cielo e terra non sono lontani fra di essi – non si tratta di una impossibile lontananza dalla protagonista – in quanto condividenti il doppio solco simbolico. In altri termini: la protagonista di questa lirica dagli intrecci semantici fatti di intense sensazioni a monte dei concetti espressi sente affievolirsi la consapevolezza e attende il buio nella situazione più sinistra di cui sopra – buio simbolo principe dell’inconscio e della sua creatività poetica –, affinché parli per lei, che non è più in grado di disporre del linguaggio del giorno, della razionale pratica della quotidianità. L’atmosfera in cui si svolge la lirica in un crescendo di allontanamento dalla consapevolezza – il cielo e la terra con la loro duplice simbologia non sono più troppo lontani fra di loro, ossia la vita e la morte non sono più tanto distanti l’una dall’altra. Il momento è quello ormai del dormiveglia, del sonno, il tempo consono all’emersione dell’inconscio nel sogno, alla più disponibile e speciale attivazione di quei circuiti cerebrali che le necessità della vita pratica devono porre in disparte: è il tempo più consono all’emersione dei simboli estetici nella spazialità per il possibile originaria del più immaginifico inconscio.
Così la situazione per esprimersi in termini poetici si è realizzata secondo la personalità più vera della protagonista-Autrice: un’atmosfera che rivela come la creatività poetica più vera, collegata al venir meno della più solida e consueta energia data dalle esigenze dell’esistere, sia vicina alla sensazione di morte, come la maggiore lontananza dalla vita concreta inevitabilmente evoca.
Allora la poetessa, divenuta capace di essere in un contatto più diretto con la creatività, scrive con l’inchiostro che si associa al colore della notte fonda in cui, per usare ancora una metafora chiarificatrice, conduce la sua vita simile alla morte uno spaventoso inconscio, dalle cui oscure fattezze rifuggono gli umani tranne i più audaci poeti.
Scrive su carta straccia – ben lungi da ogni eroismo –, la poesia di Maria Teresa Infante La Marca si serve di qualsiasi mezzo per esprimersi, non ha bisogno di lussi e apparenze.
Così la poesia di Maria Teresa Infante La Marca ha espresso in versi, magistralmente, il processo della creatività più vicina alla sua origine nel buio della mente, dell’intrico dei circuiti nervosi, oltre che uno scorcio suggestivo della sua visione del mondo scevra da illusioni per così dire placebo.
In presenza delle liriche dell’Autrice dedicate espressamente alla notte nel suo mistero è d’obbligo un riferimento comparativo, per quanto breve e diversamente figurabile, al grandissimo poeta Romantico tedesco: Novalis, alias Friedrich von Hardenberg (Schloss Oberwiederstedt 1872-Weißenfels 1801), autore degli indimenticabili – e nella fattispecie eroici – Hymnen an die Nacht, Inni alla notte che vivono di infinita Sehnsucht di vita potenziata nella morte.
Se nel primo Inno Novalis afferma che alla lieta luce del giorno, la quale nasconde il mistero della vita illuminandone solo la spesso banale e puerile superficie colorata, preferisce l’oscurità ineffabile della notte: Abwärts wende ich mich/Zu der heiligen, unaussprechlichen/ Geheimnisvollen Nacht/, Giù mi volgo/Verso la sacra ineffabile/Misteriosa notte/, Maria Teresa Infante nella terza strofa dice di attendere che l’oscurità – alias l’inconscio in sembiante di notte – parli per lei, così che esprima ciò che di ineffabile la poetessa abbia in se stessa.
Le liriche dedicate alla notte da Maria Teresa Infante La Marca non sono inni eroici, impossibilmente lo sarebbero nell’attuale epoca pena l’assurdità, in un tempo già tanto distante dalla possibilità di credere o voler credere nelle grandi illusioni che hanno accompagnato e ancora accompagnano, magari con pochi eroismi tuttavia, l’umano esistere, illusioni che sempre più abbandonano l’uomo solo, di fronte a certezze di caducità definitiva di cui deve essere o diventare all’altezza attingendo alla propria solitaria forza interiore. E la Infante possiede questa forza interiore.
Ribadendo: l’Autrice è poetessa pienamente inserita nell’epoca attuale, diversi millenni trascorsi all’insegna di illusioni di resurrezioni e vite eterne – già sconfessate dall’ateo Ugo Foscolo (Zacinto 1778 – Londra 1827) che le ha sostituite con gli ideali, un loro doppio riguardante la necessità di sentire l’esistere nobilmente – le sono realmente alle spalle con l’effetto che le illusioni nella poetessa si rivelino ormai non più come Romantiche e neppure foscoliane, ma come assenza di qualsiasi sogno di qualsiasi grandezza. Nella sua poesia domina la volontà di conoscere se stessa dolorosamente nel modo più vero possibile e perciò scendendo – come nella citata metafora di Novalis che non guarda in alto la luce solare, ma volge lo sguardo giù, nell’oscurità dei mondi interiori – nell’inquietante quanto creativo inconscio, nero come la notte, nero come l’inchiostro che parla e scrive nella sua speciale lingua poetica, estetica.
Così, nella poesia Un quarto alle 3:0 di Maria Teresa Infante La Marca, rappresentativa del tempo attuale.
Prima di concludere, una parola doverosa relativa alle due illustrazioni di Marika Grassano: bellissime nel senso sinistro che il grande critico Romantico Wilhelm Heinrich Wackenroder (Berlino 1773 – Berlino 1798) ha dato al sublime che ha posto come nuovo concetto del comunque bello, sebbene non bello come nel significato tradizionale, ma bello di un’estetica più profonda della pur stupenda superficie, più emozionante nel nuovo sentire più moderno, appunto inaugurato dal Romanticismo – vedi anche il saggio Über das Erhabene, Sul sublime (1801), di Johann Christoph Friedrich von Schiller (Marbach am Neckar 1759 – Weimar 1805). In questo senso assolutamente Romantico vanno intese le due bellissime in senso romanticamente nuovo e nel contempo molto inquietanti immagini artistiche di Marika Grassano Gold Shadow, Ombra d’oro, e Lunar Storm, Tempesta Lunare, totalmente in sintonia con il sentire espresso nella silloge.
In questa seconda illustrazione è la luna a scatenare la tempesta nei cieli e sulla terra, facendo vedere e sentire la sua cosmica e inesorabile energia, la forza di attrazione per gli umani che cadono nella sua rete beffarda e sinistra, per così dire sempre proseguendo con una metafora relativa ai testi poetici citati. Così delle molto intense Illustrazioni di Marika Grassano.
Rita Mascialino, Fondatrice e Presidente del Secondo Umanesimo italiano, in “Spazialità dinamica”
Rita Mascialino, scrittrice, poeta, giornalista è fondatrice e presidente del Premio “Franz Kafka Italia” giunto alla XVII edizione.
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