di Lucio Garofalo
Il Movimento 5 Stelle non sembra reggere alla prova di alcuni fatti. Vediamo il perché.
A pochi giorni dal risultato elettorale, non positivo, il movimento di Grillo (e di Conte) si sta avviando, molto probabilmente, verso un’implosione auto-distruttiva. L’idea di sostituire la politica con una “critica di costume” collassa di fronte al fatto che gli eletti del M5S non sono certo degli asceti, bensì persone emerse dalle corpo delle odierne masse popolari, che mantengono uno status di bisogno materiale. Verrebbe la voglia di chiedere al comico miliardario se conosce il prezzo corrente del pane. Grillo (e così Conte, suo malgrado) deve attestarsi “ob torto collo” su questa linea di moralismo ottuso e non può fare altrimenti, poiché oltre il moralismo emergono la condizione e la natura sociale dei suoi stessi eletti e del suo elettorato (sempre più ridimensionato ed esiguo), che sottintende un’istanza di classe che Grillo e Conte tentano di rimuovere dal contesto delle vicende politiche.
L’idea che basti una politica moralizzatrice per rimettere in sesto il Paese ha rivelato tutti i suoi limiti oggettivi e le sue insufficienze e non convince più coloro che, spinti da sentimenti di indignazione e di rabbia verso una “casta politica” arrogante e corrotta, ed asservita ad altri poteri (sovranazionali) hanno iniziato ad accorgersi che il male non consiste solo e semplicemente nell’uso autoreferenziale di un potere politico degenere, bensì nella natura stessa della politica nel quadro statale borghese. È una politica sterile che, anche laddove fosse in teoria ricondotta in un ambito di decoro, continuerebbe ad operare contro le masse proletarie. Grillo e Conte non si accorgono, ovvero fingono di non accorgersi che sono altre e ben più profonde le pulsioni e le istanze sociali che vanno germinando nella pancia e nella coscienza del loro elettorato. Emerge prima di tutto un’idea forte di giustizia sociale, che non può essere soddisfatta dal moralismo, né dal giustizialismo deteriore. Ed affiora un rigetto del proprio status sociale di subalterni rispetto ad una economia decisa altrove e che funziona come una vera e propria “macelleria sociale”. Infine, emerge una visione alternativa del modo di determinare il cambiamento della realtà sociale di milioni di persone e ciò genera un senso di inquietudine e di insofferenza verso le prediche del “capo”, un fastidio nei confronti di una linea politica che si dimostra sempre più una dissimulazione delle reali ragioni e cause all’origine delle sofferenze materiali e dei disagi di milioni di lavoratori e proletari.
Ed infine, più di tutto Grillo e Conte non comprendono che l’operazione politica di demoralizzazione delle masse popolari, causata dall’inutilità del voto, non è per nulla riuscita. Le recenti elezioni europee hanno denunciato proprio la fragilità e l’attaccabilità dell’ordinamento politico borghese. L’aver messo in moto un processo che ha coinvolto diversi milioni di proletari fornisce una testimonianza palese di come la politica di origine borghese non sia affatto onnipotente, ma possa essere disarticolata dall’iniziativa cosciente dell’odierno proletariato.
Lucio Garofalo