di Maria Pia Latorre

Dopo “Gocce d’anima”, del 2015, “È passato un silenzio”, del 2018 e  “La punteggiatura non è il mio forte”, del 2022, nel mese di aprile 2024 è stato dato alle stampe “Presenze minime”, di Federico Lotito, con la casa editrice che lo ha visto nascere, ne ha curato tutte le raccolte e continua a sostenerlo nel suo percorso poetico, parliamo della SECOP edizioni.

Appuntamento con questa quarta silloge per raccontare il profondo, per cercare risposte alla realtà che si agita intorno e con la quale l’autore interagisce, nonostante la “solitudine cercata” che rappresenta per il poeta la barra del timone grazie alla quale ricalibrare il senso profondo della propria esistenza.

È un continuo andare, quello di Federico Lotito, nella realtà esterna, piena di contraddizioni e “sterpaglia” su cui è fatto d’obbligo camminare, come efficacemente scrive Angela De Leo nella bella Postfazione.

Il poeta non si sottrae a immergersi nel quotidiano “bazar” dove osserva “intermittenze” e non spreca tempo “coi malvagi”. Un  andare e tornare a sé, sicuramente una scelta sofferta che gli garantisce la possibilità di cercare le presenze minime che cureranno l’essenzialità dell’anima.

“Basta prendere un pezzo di se stessi o della vita di un tuo amico o compagno di lavoro o del tuo vicino di casa o di qualcuno che nemmeno conosci e tutto è pronto a diventare poesia”, di fatti afferma l’autore in seconda di copertina, aggiungendo: “ La fallibilità dell’uomo è quello che mi interessa rivelare, l’uomo nelle sue contraddizioni, nelle sue lacerazioni, nelle sue paure”. Questo il sentiero segnato che ci permette di apprezzare le poesie, dal delicato lirismo.

La silloge è quadripartita: “Di me (e) di noi”, “(De)gli altri attori”, “Di altre nostre (e) vostre cose” e, infine, “Trasform(a)zioni (e) divag(a)zioni” ed questa suddivisione un chiaro segnale di quanto la silloge sia compatta e ragionata.

Si può già dai titoli delle quattro sezioni osservare l’andamento ondivago del moto interiore che va dall’interno all’esterno, per rientrare nuovamente in sé, con un carico di “pescato” catturato in una rete a maglie strette che costituirà materia prima per l’opera di scavo e di scrittura.

Il poeta è pienamente consapevole della modalità di osservazione prescelta, e lo si intuisce quando titola una delle sezioni “Di altre nostre (e) vostre cose”, sempre nel continuo procedere induttivo/deduttivo, così come è consapevole dei meccanismi sociali analizzati, scegliendo accuratamente il termine “attore” per descrivere il soggetto sociale, termine fondamentale nell’analisi di un set sociologico.

Dunque il passaggio all’osservare la vita del mondo è condizione indispensabile per sentirsi vivi, anche se, come osserva maternamente Angela De Leo, “l’epilogo è amaro, negativo, privo di luce”.

La scrittura, qui, si fa cura, come nella migliore tradizione del metodo autobiografico di Duccio Demetrio.

Così l’autore approfondisce il valore di testimonianza e di ricordo per i posteri che  questo tipo di scrittura regala, evidenziando la sua capacità di riattivare la memoria e, attraverso questa, di restituirci nuova vitalità.

Lo scritto autobiografico è anche rilevatore di aspetti oscuri e nascosti di noi.

Con i meccanismi di auto-interrogazione del , siamo messi in grado di far riaffiorare sofferenze ed esperienze dolorose che lo stato cosciente tende a voler obliare e che ci aiutano a superare situazioni irrisolte della nostra vita.

Dunque protagonista indiscussa di tale metodo è certamente la scrittura, strumento di esplorazione soggettivo ma che ha, nello stesso tempo, una chiara funzione sociale. Si scrive per comunicare agli altri, in un passaggio continuo da ‘soggettivo introspettivo’ a ‘soggettivo socializzato’, come siamo ormai abituati a osservare nelle comunicazioni intra/interrelazionali che muovono i meccanismi ‘social’, di cui l’autore si occupa ampliamente.

Anche il sociologo Bauman recentemente ha affrontato l’argomento della scrittura di sé, considerando che “vivere è sempre una soluzione biografica” (Zygmunt Bauman, “Individualmente insieme”, Reggio Emilia, 2008), dove l’individuo è alla costante ricerca di un equilibrio per non affondare nelle contraddizioni della vita. A tal proposito, il sociologo polacco considera la scrittura condivisa in internet espressione dell’individuo che vuole ‘autorigenerarsi’ e in qualche maniera suggella tale bisogno con l’assenso della comunità degli internauti, ma, allo stesso tempo, egli non rinuncia a stare individualmente con se stesso, tema questo, su cui certamente la raccolta di Lotito ne analizza i passaggi. Certamente, sopratutto con l’avvento dell’I.A., il futuro ci aprirà a nuovi dibattiti e strade interpretative.

Federico Lotito è nato a Corato, nel 1957. Nel 2015 ha pubblicato la prima raccolta di poesie “Gocce d’anima” – edita da Secop Edizioni di Corato. Le sue liriche sono presenti in diverse antologie. Nel 2016 è stato ospite della XLVII Edizione del Festival Internazionale di Poesia “Smederevo’s poet autumn” a Smeredevo (Serbia); alcune sue liriche sono state tradotte in serbo dal poeta Dragan Mraovic e pubblicate  nell’Antologia del Festival. Collabora con il giornale Lo Stradone di Corato, scrivendo articoli e recensioni per la rubrica “Tra le righe”. E’ autore del testo teatrale “Don’t try – il mio Hank”, ispirato alla vita dello scrittore americano Charles Bukowski, rappresentato a Corato e successivamente in vari teatri di città limitrofe sotto la sua regia. E’ membro attivo del Forum degli Autori di Corato.

Nell’aprile 2018 ha pubblicato “E’ passato un silenzio”, per Secop Edizioni, sua seconda silloge di poesie. Ha curato la stesura del testo teatrale “ Sempre Madre”, ispirato al film ‘Tutto su mia madre’ del regista spagnolo Pedro Almodovar. Nel 2022 ha dato alle stampe  “La punteggiatura non è il mio forte”, nel 2024 “Presenze minime”, sempre per Secop.

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