“Mia moglie è l’unica responsabile per l’esposizione di bandiere nella nostra residenza e nella casa di vacanze”. Questa la spiegazione del giudice della Corte Suprema Samuel Alito in una lettera ai senatori democratici Richard Durbin e Sheldon Whitehouse i quali gli avevano chiesto di ricusarsi nei casi giudiziari sull’elezione del 2020, gli assalti al Campidoglio del 2021, e il caso dell’immunità dell’ex presidente Donald Trump. Martha-Ann, la moglie di Alito, aveva fatto sventolare la bandiera alla rovescia, simbolo dei sostenitori che Joe Biden avrebbe rubato l’elezione del 2020. E poi un altro episodio con la bandiera innalzata esibendo la scritta “Appeal to Heaven” (Appello al Cielo), che richiama i tempi sanguinosi della rivoluzione americana, divenuta simbolo del nazionalismo cristiano pro-Trump. Il giudice Alito ha spiegato che non si ricuserà poiché nessuna persona ragionevole potrebbe pensare che lui non sarà imparziale per azioni fatte dalla moglie la quale usufruisce del primo emendamento e ha dunque il diritto di libertà di espressione.
Il problema però è che Alito vive nelle stesse residenze della moglie e quindi anche se non si ritiene responsabile ovviamente avrebbe potuto discuterlo. Difatti eventualmente le bandiere sono state giustamente rimosse a causa del loro messaggio di ultra destra non consone all’immagine di un giudice della Corte Suprema. La macchia all’imparzialità del giudice però rimane nonostante il rifiuto di Alito di ricusarsi.
La necessità di ricusarsi rimane completamente sotto controllo dei giudici. Nel caso di Alito bisogna in un certo senso ammirare il fatto che lui abbia cercato, anche senza buone ragioni, di spiegare la sua posizione. Scaricare la colpa alla moglie, però, come se lui fosse un semplice innocente viaggiatore, non riflette bene su di lui. Inoltre c’è stato un altro caso in cui ha dimostrato coraggio o forse arroganza, giustificando malamente la sua imparzialità. In un articolo nel Wall Street Journal nel mese di giugno Alito ha chiarito che non si doveva ricusare in un caso di un miliardario il quale gli aveva fornito viaggi gratis in un jet privato. Alito ha anche comunicato con la Fox News e in un’intervista ha spiegato che la moglie aveva innalzato la bandiera nelle loro proprietà a causa di un diverbio accesissimo con alcuni vicini. Le due pubblicazioni con cui Alito comunica ci dicono qualcosa sulla sua ideologia e il fatto che con frequenza lui vota quasi sempre con la maggioranza conservatrice per promuovere un’agenda che riflette l’ala destra del Partito Repubblicano.
Il nuovo codice etico approvato dalla Corte Suprema nel novembre del 2023 avrebbe dovuto affrontare casi come quello di Alito e anche Clarence Thomas e la possibile corruzione sollevata da regali ricevuti da miliardari conservatori. Thomas, infatti, sarebbe “il campione” per quanto riguarda i regali. Il gruppo non partisan FixTheCourt (Ripara la Corte) ha calcolato che negli ultimi due decenni Thomas ha ricevuto regali per un valore di più di 4 milioni di dollari. Alito si trova al secondo posto (170 mila), John Roberts terzo con 49 mila, ma anche i giudici tendenti a sinistra hanno ricevuto regali ma molto più bassi. Il codice non è vincolante ma sostiene che la ricusazione dovrebbe mettersi in atto in casi in cui “una persona ragionevole potrebbe mettere in dubbio l’imparzialità del giudice”. Chi definisce questa persona ragionevole? I giudici stessi che non sembrano rendersi conto della calante fiducia degli americani sulla Corte Suprema. Secondo un sondaggio dopo la decisione su Roe Vs Wade nel 2022, che ha eliminato il diritto all’aborto, solo 38 il percento approvava l’operato della Corte Suprema.
I casi di ricusazione dunque anche prima del nuovo codice etico avvengono solo quando un dei togati lo considera necessario. Una questione d’onore individuale e personale che nessuno può mettere in dubbio. Un caso unico nei compiti della Corte Suprema contrario al concetto basico di legge che un individuo non può giudicare se stesso. Negli ultimi anni alcuni giudici si sono ricusati in casi giudiziari che loro avevano già esaminato prima di essere nominati alla Corte Suprema. Ecco la ragione per cui Elena Kagan, Neil Gorsuch e Clarence Thomas si sono ricusati recentemente. In altri casi di ricusazione si tratta di situazioni in cui un dipendente di un giudice è poi stato denunciato e il caso è arrivato alla Corte Suprema. Proprio questa la situazione di John Eastman, ex collaboratore di Thomas alla Corte Suprema, accusato di avere escogitato un piano per sovvertire le elezioni del 2020, per il quale ha perso la sua licenza di avvocato in California.
Come si sa, l’attuale composizione della Corte Suprema riflette una tendenza verso la destra con 6 dei 9 giudici essendo stati nominati da presidenti repubblicani. Tre di loro proprio da Trump, il quale è stato recentemente condannato di 34 capi di accusa nel processo di falsificazioni di documenti contabili nel caso della pornostar Stormy Daniels. Cosa proveranno Neil Gorsuch, Brett Kavanaugh e Amy Coney Barrett i quali devono il loro posto a Trump, il primo presidente americano reo di crimini penali?
Commentando il rifiuto di Alito nella lettera ai senatori Durbin e Whitehouse l’ex presidente ha detto che il giudice “è forte, un duro, e molto, molto intelligente”. Trump negli ultimi tempi ha attaccato il sistema giudiziario che lui vede strumentalizzato da Biden contro di lui specialmente nel caso in cui è stato condannato. Quando si tratta di un’azione che lo beneficia, come fa prevedere la “fedeltà” di Alito ai principi conservatori, allora i giudici sono bravi.
La Corte Suprema americana ha bisogno di un codice etico vigoroso che gli venga imposto dal potere legislativo. I democratici vorrebbero farlo ma rimane impossibile a causa della spaccatura nel Paese riflesso nella risicata maggioranza repubblicana alla Camera e quella altrettanto risicata democratica al Senato. In effetti, nessuno può giudicare i giudici della Corte Suprema.
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Domenico Maceri, PhD, è professore emerito all’Allan Hancock College, Santa Maria, California. Alcuni dei suoi articoli hanno vinto premi della National Association of Hispanic Publications.